5 aprile 2014 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •
Il giudizio di Antonio Valerio SperaSummary:
Le atmosfere e i giochi del destino che ne governano gli avvenimenti sono quelli tipici del noir. Ma Nottetempo, opera prima di Francesco Prisco, non è un semplice film di genere. Il giovane regista napoletano osa qualcosa di diverso, di più ambizioso e coraggioso. E il risultato è una pellicola che pur facendo forza sulle caratteristiche del noir (e del road movie) le sfrutta per raccontarci la storia, anzi le storie, di tre persone insoddisfatte che si ritrovano a fare i conti con il loro passato, i loro sogni e i loro rimpianti.
E’ un intenso incrocio di anime quello messo in scena da Prisco, un’immersione nelle emozioni remote di tre personaggi misteriosi, ermetici, solitari che cercando di scoprirsi l’un altro finiranno inevitabilmente per scoprire loro stessi. Protagonisti un rigido poliziotto, una ragazza innamorata e sognatrice e un cabarettista in pieno declino professionale, che si incontrano e si rincorrono dopo un terribile incidente stradale.
Le classiche e fisiologiche ingenuità dell’esordio ci stanno – soprattutto nella sceneggiatura che perde di credibilità in alcuni dialoghi e lascia troppe cose in sospeso – ma il film in un modo o in un altro sale gradualmente e rimane dentro. A colpire nel segno è lo stile accattivante di Prisco. Equilibrato, mai ridondante, insistente quando necessario, distaccato ed empatico allo stesso tempo nei confronti dei personaggi, il giovane esordiente conferma il talento sfoggiato già nei suoi precedenti cortometraggi, dimostrando di saper affrontare il lungo con la giusta sicurezza e senza alcuna paura.
L’intento di base di Nottetempo poteva far inciampare il giovane autore in un vuoto esercizio formale, ma così non è stato. Per tonalità e struttura narrativa, il film spinge la mente da Cuaròn a Inarritu, da Polanski a Clint Eastwood, chiaramente con le dovute proporzioni del caso, ma l’opera di Prisco non è il goffo e mal riuscito tentativo di copiare o riproporre un certo tipo di autorialità cinematografica. Piuttosto si assiste all’espressione di un’idea cinema ben precisa e molto personale in cui si sente l’eco e l’influenza, di natura cinefila, di questi grandi artisti.
A Prisco inoltre si deve il merito di aver sganciato il bravo Giorgio Pasotti dai suoi ruoli abituali, spingendolo ad interpretare un personaggio cupo, oscuro, enigmatico. Una delle tante sorprese del film è rappresentata proprio dalla sua performance, sotto le righe, ricca di sfumature e assolutamente efficace. Accanto a lui un ottimo Gianfelice Imparato e una più matura del solito Nina Torresi.
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net
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