Praticamente tutte le sorgenti variabili che Fermi ha visto accendersi per qualche settimana vicino al piano della nostra galassia si sono rivelate essere Novae. Per questo il titolo del lavoro pubblicato su Science non lascia dubbi: Fermi riconosce la Novae come una nuova classe di sorgenti gamma.
Nel marzo 2010 il programma di analisi automatica dei dati Fermi ha evidenziato la comparsa di una nuova sorgente poco discosta dal piano galattico nella zona del Cigno. Solo successivamente ci si è resi conto che l’emissione gamma era chiaramente correlata con la curva di luce ottica della Nova V407 Cygni. Ricordo benissimo la sorpresa che generò il risultato all’interno della collaborazione Fermi. La sorgente variabile era spazialmente coincidente con la Nova e si era accesa in gamma qualche giorno dopo il presunto massimo ottico (degli astrofili giapponesi l’avevano beccata quando la sua luminosità stava già scendendo), eppure ci si chiedeva come una nova potesse riuscire a produrre fotoni gamma. Si pensò che V407 Cygni fosse una nova un po’ speciale dove il materiale liberato dall’esplosione termonucleare sulla superficie della nana bianca si espande nel vento della gigante rossa risultando nell’accelerazione di particelle, con la conseguente emissione gamma. Una eccezione stellare nell’astrofisica delle alte energie.
Poi, nel giugno 2012, sono state rivelate due sorgenti variabili a pochi giorni l’una dall’altra. Dal 16 al 30 giugno ha brillato J1750-3243 subito associata a Nova V1324 Scorpii che era comparsa il 3 giugno e aveva raggiunto il picco il 19. Il fatto che questa volta si trattasse di una Nova classica, cioè di un sistema compatto, con una compagna non gigante, dove il materiale espulso dall’esplosione lascia rapidamente il sistema binario per espandersi nella regione circostante molto meno ricca di materia, rendeva ancora più incerto il quadro interpretativo.
Il 19 giugno 2012 è stata la volta di una nuova sorgente gamma variabile J0639+0548 alla quale non è stato possibile associare alcun oggetto, per l’ottima ragione che la regione non poteva essere osservata in ottico perché troppo vicina al Sole. In Agosto, appena fu possibile ottenere delle immagini, ci si rese conto che l’error box della sorgente Fermi conteneva una Nova, chiamata V 595 Mon. Si tratta del primo esempio di Nova scoperta in raggi gamma, anche in mancanza di osservazioni ottiche. Anche questa è una Nova classica.
Nell’agosto dell’anno scorso, è esplosa Nova Delphini, una bella Nova visibile ad occhio nudo. Questa volta Fermi aveva imparato la lezione e ha deciso di dedicare molta più attenzione alla Nova e l’ha puntata per diversi giorni. È questo il poker di Novae rivelate da Fermi. Sono accomunate dalla durata di una dozzina di giorni e dallo spettro molto molle senza fotoni di altissima energia.
A quel punto anche i più scettici si erano convinti: quattro oggetti fanno una nuova classe di sorgenti gamma e l’annuncio meritava un articolo che oggi esce ma è già un po’ datato perché, nel frattempo, a dicembre, è scoppiata Nova V1369 Cen 2013 che si è puntualmente fatta vedere come sorgente gamma variabile.
La scrittura dell’articolo era troppo avanti per includere un altro caso. Poco male: Nova Cen 2013 verrà trattata nel prossimo catalogo delle Novae viste da Fermi.
Nota: FERMI è stato realizzato dalla NASA con un contributo italiano di assoluto rilievo, coordinato e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) in collaborazione con Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Le PMI G&A Engineering, Mipot, Plyform e Centrotecnica, con alcune facility Thales Alenia Space, e la comunità scientifica nazionale, INFN ed INAF in primis, grazie all’esperienza acquisita negli anni passati e culminata con la messa in orbita il 23 aprile 2007 del satellite tutto italiano AGILE, hanno infatti costruito il cuore dello strumento principale a bordo del satellite, il Large Area Telescope (LAT) partecipano all’attività scientifica e forniscono supporto per l’archiviazione, l’analisi e la distribuzione dei dati attraverso l’ASI Science Data Center.
Fonte: Media INAF | Scritto da Patrizia Caraveo