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Novaline, quando il territorio non resiste più

Da Trentinowine
Novaline, quando il territorio non resiste più

Oggi la polizia ha sgomberato con la forza il presidio NO TAV alle Novaline, la collina che costeggia l'abitato di Mattarello, alle porte di Trento. Le Novaline sono una area viticola fra le più pregiate del Trentino, la sua esposizione e la composizione del terreno sono alla base di un Cru di grande pregio. Cantina Sociale di Trento ha dedicato a quest'area una bottiglia prestigiosa e, secondo me, da non perdere per chi abbia voglia di farsi un'idea del vino trentino: il Merlot Riserva Novaline.

Ma oggi, a difendere le Novaline dalle esplorazioni geologiche di RFI in vista del raddoppio della linea ferroviaria, c'erano solo gli attivisti NO TAV, che la stampa ha liquidato sbrigativamente rubricandoli come " alcuni contestatori". Dove erano i contadini? Dove era Consorzio Vini? Dove era Cantina Sociale di Trento? Dove era il suo presidente, il mitico avvocato Elvio "Dartagnan" Fronzan? Dove erano gli wine lover che frequentano assiduamente le seratine, dj set included, durante le quali ci si baloccheggia astrattamente con il naso degustativo e il cazzo duro dentro espansivi e orgasmatici bicchieri di Merlot Novaline? Dove era il Trentino civile e identitario, che ha lasciato soli i quattro contestatori del movimento NO TAV a rappresentare un'idea di #territoriocheresiste? Dove?

Perché in Trentino non si è mai riusciti a costruire un movimento di difesa territoriale socializzata e radicata dentro, e con, le categorie dei produttori e le istituzioni municipali, come, per esempio, è capitato in Val di Susa? Ancestrale predisposizione asburgica alla sottomissione al potere autoritario o irreversibile smarrimento di senso, senso dell'identità territoriale?

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Nacque a La Fratta nella seconda metà del XIII secolo, oggi nel comune di Sinalunga (SI). Figlio del conte ghibellino Tacco di Ugolino e di una Tolomei e fratello di Turino, era un rampollo della nobile famiglia Cacciaconti Monacheschi Pecorai, e insieme con il padre, il fratello e uno zio commetteva furti e rapine, nonostante la caccia che gli veniva data dalla Repubblica di Siena. Una volta catturati, i membri maggiorenni della banda vennero giustiziati nella Piazza del Campo di Siena, mentre Ghino e il fratello si salvarono grazie alla loro minore età. Rifugiatosi a Radicofani (SI), una rocca sulla Via Cassia, al confine tra la Repubblica di Siena e lo Stato Pontificio, Ghino continuò la sua carriera di bandito, ma in forma di "gentiluomo", lasciando ai malcapitati sempre qualcosa di cui vivere. Boccaccio, infatti, lo dipinge come brigante buono nel suo Decameron parlando del sequestro dell'abate di Cluny, nella II novella del X giorno: Ghino di Tacco piglia l'abate di Clignì e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale. Dante, invece, gli concede un posto tra i personaggi citati nel sesto canto del Purgatorio della sua Divina Commedia, quando parla del giurista Benincasa da Laterina (l'Aretin), giureconsulto a Bologna, poi giudice del podestà di Siena, ucciso da un fiero Ghino di Tacco.


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