Novant’anni fa, più o meno a quest’ora, la Radio italiana iniziava le sue trasmissioni e, da allora, ha accompagnato la vita degli italiani, anche quando “la radio” è diventata “le radio”, anche oggi che siamo bombardati da musica e parole che ci piovono addosso da tutte le parti (e con tutti i mezzi).
Per anni e per molti è stata l’unico collegamento con il mondo là fuori, pensiamo, ad esempio, all’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre del ’43, trasmesso dall’EIAR (la Rai, allora, si chiamava così), alla voce di Badoglio che proclama la cessazione delle ostilità da parte delle nostre truppe nei confronti degli anglo-americani, pur lasciando in sospeso, in modo inquietante, l’ordine di reagire agli “attacchi di qualsiasi altra provenienza”, pensiamo ai sentimenti di chi ascoltava: incredulità, forse, e gioia e speranza e turbamento.
Prima che in casa nostra entrasse un televisore (ma anche dopo) la radio era al centro delle nostre giornate e delle serate.
Ricordo mio nonno che seguiva le opere con il capo quasi attaccato all’altoparlante e il libretto posato sulle ginocchia e io, seduta vicino a lui, che a quattro anni mi innamoravo della favola di Turandot.
Ricordo “Tutto il calcio minuto per minuto“: le descrizioni mirabolanti di Nicolò Carosio e “qui Bortoluzzi a te Ameri”.
Ricordo mia nonna che ascoltava “Ciciarem un cicinin” condotto da Liliana Feldman rigorosamente in dialetto meneghino e l’altra nonna, di temperamento più drammatico, che seguiva “Sorella Radio” la trasmissione che andava in onda da ospedali e case di cura.
E poi arrivò l’età in cui cominciai a seguire la radio in proprio e fu “Bandiera Gialla” e fu “Alto Gradimento” con le strampalate creature di Arbore e Boncompagni.
Insomma, se guardo indietro negli anni mi rendo conto che la radio è stata una compagna preziosa, una colonna sonora di tante giornate.
Buon compleanno.