Di Silvia Azzaroli. Si può provare una nuova emozione di fronte ad una storia che si conosce a memoria? Ho letto svariate volte il monologo di Alessandro Baricco e ho visto altrettante volte il film di Giuseppe Tornatore, ma, lo confesso con un po’ di vergogna, non avevo mai assistito allo spettacolo teatrale. Ho temuto, lo ammetto, che mi sarei annoiata, ma quando decido di vedere qualcosa sgombro sempre la mia mente e cerco di lasciarmi andare. Conosco Corrado D’Elia di fama e poter assistere a Novecento diretto ed interpretato da lui al Teatro Libero di Milano per me è stato un autentico privilegio. Mi sono sentita travolgere lentamente dalle sue parole, dai suoi gesti e dalla sua passione autentica per la recitazione e per i personaggi che stava interpretando.
Il teatro è una forma d’arte così particolare, così unica da creare un legame sottile e indissolubile tra spettatori e attori. Non c’è niente di paragonabile. E parlo da amante appassionata del cinema. Ma il teatro ha qualcosa in più. Sembrava proprio che Novecento parlasse a noi, suonasse per noi, vivesse per noi. Vivo, vero, così dannatamente reale più del reale.
E lo stesso vale per Tooney, per il capitano della nave, incapace di andare oltre il regolamento e il direttore di orchestra così totalmente inetto alla musica da non capire di avere di fronte un genio e che le note normali non vanno bene per i geni.
La storia di Novecento è una favola agrodolce, dal finale straziante, durante il quale, insieme al suo amico trombettista, cerchiamo di portare giù dal Virginian, ormai pieno di dinamite, questo uomo tanto speciale e tanto fragile.
Lui dice che non è potuto scendere perché “La Terra è una nave troppo grande, è una donna troppo bella, è una musica che non so suonare.”
E’ la malattia dei geni la sua? Il sentirsi inadatto al mondo, alla vita, alla realizzazioni dei desideri.
Eppure Novecento aveva così tanto dentro, così tanto.
Mi sono sentita di nuovo gelata, impotente e triste. Immensamente triste per la sua fine.
Avrei voluto trascinarlo via.
E quella frase finale del monologo: “Stavolta è finita.” lascia addosso un’amarezza senza fine.
Forse è anche questo ciò rende realistico Novecento. La vita non va sempre come vorresti.
Eppure, alla fine, avevo solo voglia di sentire da capo la storia di questo grande pazzo geniale musicista inabile alla vita.
Grazie per le emozioni che mi hai regalato Corrado D’Elia.
Il teatro deve essere soprattutto questo.
Post Scriptum: purtroppo la visione è stata interrotta dal trillare di un cellulare. Sarebbe stato molto bello poter sentire Novecento dire al maleducato spettatore: “In c..o il cellulare!”