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Novelle di famiglia (la tata)

Da Marta Saponaro
QUINTO CAPITOLO
LA TATA NOVELLE DI FAMIGLIA (LA TATA)
Quando la nonna giunse a Milano non conosceva nessuno. La sua famiglia fece in modo di darle una vita consona al suo stato di provenienza e così le fecero avere delle gioiellerie e delle case. In effetti non aveva problemi per quanto riguarda l'aspetto economico anzi, si può dire che godeva di una situazione molto agiata. Essendo un membro della croce rossa ebbe il modo di conoscere una ragazza, pur essendo di discendenza ricca e borghese, la sorte aveva per lei in serbo una situazione non rosea. Questa giovane ragazza venne segnalata da una responsabile della croce rossa alla nonna la quale, visto che era anche alla ricerca di una persona che la aiutasse con l'amministrazione della casa e delle figlie, decise di assumerla. Fu così che Tina divenne la tata sia della mamma sia mia e di mia sorella. Visse con noi per tanti e lunghi anni ed era considerata un membro di famiglia. Narrando le vicende familiari mi sto rendendo conto che dalla nonna in poi la mia è stata una famiglia particolare perché tutte le figure dominanti sono sempre e solamente state donne. Ovviamente ci sono stati uomini, padri, mariti, amanti, nonni ma tutti hanno avuto un ruolo secondario. Sono cresciuta fra donne e solo dopo una certa età la mia esistenza si è più avvicinata a quella di tante altre, dove c'è sia l'elemento femminile sia maschile. Oggi sono in minoranza, in casa sono l'unica del mio genere sono contornata da maschietti, mio marito e i miei figli. Per non sentirmi sola ho deciso di avere animali femmine, così le due gatte, il porcellino d'india e il cane sono di color rosa. Nei momenti in cui non tutto va come vorrei mi domando se questo è dovuto al fatto che il mio compito qua sulla terra sia quello di imparare a stare con gli uomini. Spesso ho sentito dire in giro che è difficile vivere in fianco ad una donna, capirla, è complicato, ma vi assicuro che lo stesso vale per i maschietti. Siamo due pianeti differenti che, purtroppo, non sempre vogliono capirsi e da qui nascono i problemi. Seguendo la crescita dei miei figli sto notando che oltre alla differenza dei tempi, e questo non è un fattore da sottovalutare, è proprio il modo di approcciarsi al mondo, il modo di compiere scelte e di vivere certe esperienze che mutano tra i sessi. Affermo ciò perché paradossalmente la mia infanzia è stata più simile a quella dei miei ragazzi ma loro reagiscono quasi più in sintonia con il padre che ha avuto una giovinezza completamente differente. Senza ulteriori divagazioni ritorniamo alla Tata. L'immagine che ricordo è di una persona anziana  di bassa statura, corporatura massiccia, capelli molto corti di color castano scuro, dritti come spaghetti e sempre scompigliati, un grosso naso, troppo grande per essere contenuto dal viso, due piccoli occhietti marroni molto vivaci che tendevano allo strabismo, un tono della voce mascolino e una erre molto marcata. Quando parlava non sembrava italiana, anche se non saprei indicare da quale nazione potesse provenire il suo accento. Nacque a Domodossola o in un paesino lì vicino e forse è proprio per questo motivo, essendo originaria di un luogo vicino al confine con un'altra nazione,  aveva un accento quasi straniero. La sua famiglia di origine era assai benestante. Quando giunse nell'età scolastica venne mandata in collegio a Milano dove vi rimase sino alla maggiore età, 21 anni. Scoprii in seguito, che era lo stesso Istituto dove ho frequentato le superiori, il Sacro Cuore. Il giorno in cui divenne maggiorenne, giorno in cui avrebbe dovuto fare ritorno alla casa paterna, purtroppo la giovane ebbe una brutta notizia: i genitori non volevano avere nulla a che fare con lei, l'avevano ripudiata. Testarda non si arrese e provò ad andare dal padre per chiedere spiegazioni e l'unica risposta che ottenne fu che loro si sentivano in pace con la coscienza, le avevano dato un'istruzione, le avevano pagato una buonissima scuola ma poiché il suo aspetto fisico era troppo brutto, ripugnante non poteva più appartenere alla dinastia di origine. Con ciò che aveva ricevuto doveva, da quel giorno in poi, arrangiarsi da sola. Amareggiata, anzi distrutta da questa notizia tornò a Milano e non conoscendo nessuno bussò alla porta dell'Istituto dove aveva trascorso la sua prima giovinezza. La madre superiora, che conosceva bene Tina, decise di aiutarla e le disse che avrebbe cercato una famiglia dove andare a servizio. Fu, così, che entrò a casa della nonna.  Per quanto riguarda l'immagine, si è vero non era una bella donna, nemmeno passabile però il suo cuore, la sua esuberanza, il suo amore per la vita la facevano vedere bellissima e per tanto tempo, tutto quello che trascorse con noi, le fui attaccata e anche se la chiamavo tata  o per nome, anche se a volte ho avuto degli atteggiamenti non proprio carini, le volevo bene e la consideravo alla pari con la mamma e la nonna. Erano le mie tre figure di riferimento, i miei tre capisaldi per la vita e forse ho preso un pochino da tutte loro. Quando a Milano arrivarono le truppe tedesche Tina conobbe un soldato. Iniziarono a frequentarsi e dopo poco comunicò alla nonna che si sarebbe sposata con quest'uomo.  Qui ci fu il primo distacco. Tra le due ci fu una grande discussione perché la nonna non voleva assolutamente che lei avesse a che fare con costui e non solo perché apparteneva all'esercito considerato nemico, i nonni erano partigiani, perché in realtà le voleva bene. Furono pronunciate parole dure ed offensive da ambo le parti. Mia nonna, che alla fine si era affezionata a lei e non voleva che soffrisse le diceva: "ma non ti rendi conto che quello ti sta usando?" "cerca di capire che lui ti farà del male, non ti ama" e per cercare di fermarla toccò anche il suo aspetto fisico, quello che fu sempre la causa della sofferenza, "ma ragioni o no? Secondo te una come te, guardati allo specchio, può fare innamorare perdutamente un bell'uomo così!" Tina, dal canto suo, sputò anche lei parole al vetriolo: "Giannina sei gelosa di me perché anche se tu hai i soldi e sei bella hai un carattere così orribile che fugge chiunque !" "Sei solo gelosa una ricca senza cuore, una persona gretta ed egoista, troppo, cattiva, prepotente ed arrogante. Tu non conosci l'amore hai solo usato tutti per il tuo scopo e degli altri non ti è mai interessato nulla. La dama tutta d'un pezzo che nessuno vuole vicino!" Così lasciò la casa di Corso Italia e se ne andò incontro al suo amore. Forse però il suo Karma non era stato fatto per una vita romantica, fatto sta che un giorno bussarono al piccolo appartamentino, dove viveva con il marito, le SS che li arrestò. Non sapendo chi chiamare Tina fece il nome della nonna. Insieme ai suoi due mariti fece delle indagini e scoprì che costui, non ricordo il nome, era un disertore. I tedeschi volevano portare in Germania anche Tina ma alla fine si scoprì che oltre ad essere un disertore, e questa fu la notizia più devastante, in patria aveva già una famiglia, moglie e figli che lo aspettavano. Un bigamo. Prima di essere deportato disse a Tina che in effetti a lui serviva solo una casa dove nascondersi attendendo il momento più proficuo per tornare a casa. La tata non sapeva che era già sposato e per poco non finì deportata come complice di un traditore. Terminata questa disavventura Tina ritornò a servizio in casa nostra.  L'appartamento della nonna era grande così c'era la stanza sempre pronta e disponibile anche per lei. Ho vissuto in quella casa per un po' di anni, dai due ai tredici. Ricordo che era in centro, poco distante da piazza Duomo. Era un caseggiato antico. Il portone era ad arco di legno scuro a volte era completamente aperto e così entrava nell'atrio tantissima luce, oltre al caos delle macchine. Però più spesso si accedeva da una minuscola porticina bassa e molto piccola. Le persone adulte, io ero una bambina perciò ci passavo senza alcun problema, dovevano piegarsi se no sbattevano la testa. Quando si accedeva l'interno ci si trovava in un grandissimo atrio molto buio. Più in là, sulla sinistra prima di arrivare alle scale c'era la portineria. Qui viveva la Signora Bruna, una donnona che, quando nessuno poteva occuparsi di noi, ci ospitava e ci preparava la merenda. Subito dopo oltrepassata una porta iniziavano le scale. La prima rampa era angusta stretta buia e a metà si vedeva un corridoio che portava ad un appartamento. Proseguendo, più si saliva e più si allargavano gli scalini e più luce entrava dai finestroni che inizialmente erano formati da tanti vetri colorati, un po' come le vetrate delle chiese, poi, man mano che noi bambini li rompevamo, venivano sostituiti con vetri trasparenti. L'appartamento della nonna era al terzo piano. Al secondo viveva la famiglia Rizzi. Sono stata a casa loro e nei pochi ricordi che ho, vedo un appartamento grande tutto disordinato e polveroso ma con un locale che amavo, la cucina: ampia, luminosissima con un finestrone che dava su una grandissima terrazza che ospitava solo grandi vasi di piante. Il signor Rizzi mi sembra che fosse stato un pittore o comunque un artista. Al piano superiore alla fine della rampa c'era una cancellata con un piccolo ballatoio in fondo a questo si trovava la porta d'ingresso di casa nostra. Una volta aperte tutte le mandate delle infinite serrature entravi nell'appartamento. La stanza di accesso, l'anticamera, era un grande locale con i soffitti altissimi, il pavimento di piastrelle rosso fuoco e nero a forma ottagonale. Sulla destra c'era una finestra perennemente chiusa con le grate e a sinistra un salotto settecentesco si mostrava in tutto il suo splendore: quattro savonarole di legno scuro, un tavolo nel mezzo ed attaccato alla parete c'era anche un letto con una coperta di damasco color senape e seduto sul letto un grossissimo peluche, un coniglio gigante che indossava un frac. Ho odiato tantissimo quel pupazzo metteva paura ed angoscia poteva benissimo essere usato nei film horror di Dario Argento. Da quella stanza si passava ad un lungo stretto ma interminabile corridoio da cui si accedeva alle varie stanze come quella della nonna, di mia madre, di noi ragazze, il salone, la cucina. La parte bella era che poi tra le stanze si accedeva attraverso porte che comunicavano le una con le altre creando un grande labirinto che usavamo per giocare a nascondino. Il corridoio, invece, era per correre con le biciclette o con i pattini a rotelle nei cupi, piovosi freddi giorni invernali. Tina rimase ospite da noi non per tanto; decise di avere un suo appartamento e di venire da noi tutti i giorni e di pernottare solo qualche volta. Forse erano giorni stabiliti con la mamma. Spesso quando nonna e Tina si sedevano a bere il te riandavano con la mente ai giorni concitati e tristi della guerra ed allora la tata iniziava ad elencare una sequela di parole poco gentili verso quell'uomo che la fece tanto soffrire. Rimase per sempre sola non si sposò mai più e per il resto dei suoi giorni provò un po' di risentimento verso il sesso maschile. Però in fin dei conti non aveva del tutto torto suo padre la cacciò di casa ed il secondo uomo di cui si fidò la ingannò. Voi cosa avreste fatto, che conclusioni avreste tratto? Forse le stesse. Forse, mal comune e mezzo gaudio, il fatto che sia nonna sia Tina avevano alle spalle esperienze negative con l'altro sesso due caratteri assai diversi si incontrarono ed ebbero punti in comune.

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