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Novelle di famiglia (milano e la grande guerra)

Creato il 02 agosto 2014 da Marta Saponaro
QUARTO CAPITOLO
MILANO E LA GRANDE GUERRA
Milano, la città della Madonnina, la città, come dice la pubblicità da bere, io aggiungo tutta d'un sorso. Ci sono opinioni contrastanti c'è chi ne è innamorato e chi, invece, la odia, trovandola caotica, difficile da vivere e per nulla a misura d'uomo. In questo capoluogo ho trascorso un terzo della mia vita e, sinceramente, non sono concorde con chi afferma che non è bella ed è troppo incasinata! E' una città, non può essere tranquilla e silenziosa! Però oggi, che vivo in campagna,  mi sono resa conto che per i bambini non è proprio un bel posto, mentre, da una certa età in poi, è adatta, anzi, secondo me tutti dovrebbero provare l'esperienza di vivere una parte di vita in una città. Ho visto anche Roma, anche lei molto bella ma differente. A Milano la gente cammina velocemente, ha sempre un impegno, non si sta quasi mai con le mani in mano! Tolto l'aspetto lavorativo, questa cittadina ha dei luoghi molto belli da visitare, chiese, oltre al suo Duomo, che racchiudono dei capolavori;  bellissimi parchi, dove i milanesi trascorrono ore di relax; musei; esposizioni artistiche. Inoltre offre tanti luoghi dove ritrovarsi alla sera con gli amici. Molto particolare è la zona del Ticinese, sui Navigli.
Milano, Mediolanum,
NOVELLE DI FAMIGLIA (MILANO E LA GRANDE GUERRA)
Questa immagine è appesa su una parete della mia casetta. Ci sono cresciuta e quando mi trasferii a Venezia la mamma me la diede. Risale al XIV secolo. Non si vede il Duomo in quanto non era ancora stato edificato, ci impiegarono più di cento anni per realizzarlo. Venne dedicato a Santa Maria Nascente. Come ampiezza di superficie è la quarta chiesa più grande d'Europa, lo precedono San Pietro in Vaticano, San Paolo a Londra e la Cattedrale di Siviglia. Nel 1386 a Milano nel luogo dove oggi si può ammirare il Duomo si trovavano due altre chiese: la Cattedrale di Santa Maria Maggiore e la Basilica di Santa Tecla. Dopo il crollo del campanile nel 1386, l'allora Arcivescovo Antonio de' Saluzzi, appoggiato da tutta la cittadinanza, si impegnò per far edificare nel luogo più religioso della città,  una nuova cattedrale di dimensioni maggiori. Perciò per far posto vennero prima smantellate le due antiche chiese. I primi mattoni vennero posti nel gennaio del 1387. Diresse personalmente i lavori Gian Galeazzo Sforza che scelse come materiale il marmo di Candoglia. Questo è un marmo di colore bianco/rosa  e grigio ed è estratto dalle cave di Mergozzo in Val d'Ossola. Ogni blocco di marmo destinato al Duomo era marchiato AUF, "ad usum fabricae" per riconoscerlo in modo da non far pagare tasse di trasporto. Durante la seconda guerra mondiale la statua della Madonnina, situata in alto su una guglia, venne coperta da stracci per evitare che i riflessi di luce, prodotti dalla sua superficie dorata, potessero essere usati come punto di riferimento nei bombardamenti. Le vetrate vennero rimosse per salvaguardarle ma alcuni danni, comunque, li subì, ad esempio il portone centrale, in bronzo, ancora oggi presenta delle fenditure causate da spezzoni di bombe cadute nelle aree circostanti. 
Nella storia, questa città appartenne alla famiglia degli Sforza . Fu la prima città europea ad avere il più grande ospedale, il cui nome era ospedale dell'Annunciata, detto Ga' Granda. Fu Francesco Sforza a fondarlo nel 1456 per accattivarsi il favore dei milanesi che erano fedeli  ai Visconti. Bianca Maria Visconti era la moglie di Francesco Sforza. 
Poiché la città era considerata capitale industriale dell'Italia, durante la seconda guerra i bombardamenti non si sprecarono. La città ospitava industrie come la Breda, la Falck, la Pirelli, l'Alfa Romeo e per questo gli angloamericani con i loro quadrimotori di notte erano usuali a bombardare il capoluogo lombardo. Ad esempio il 20 ottobre del 1944, quando ormai si pensava che la guerra stesse finendo,  96 quadrimotori angloamericani  raggiunsero la città e la bombardarono per cercare di colpire e distruggere le industrie. Erano tre squadriglie la prima fu messa fuori gioco  da un inconveniente tecnico, la seconda riuscì a colpire la Breda mentre la terza improvvisamente si rese conto che aveva sbagliato la rotta. Non le rimaneva che due solo opzioni, la prima di sganciare tutto il suo bagaglio di morte in aperta campagna, la seconda di sganciare tutte le bombe sulla città. Purtroppo il comandante del gruppo prese l'infausta, e a mio giudizio insana, decisione di scegliere la seconda opzione e così per prima venne colpita una scuola dove si trovavano tantissimi bambini che svolgevano, ignari di tutto, le loro lezioni. In quella giornata perirono 703 abitanti, 200 di essi erano bimbi di 6/11 anni. Se desiderate visitate la pagina di Leonardo.it "per non dimenticare"  vedrete  la foto scattata qualche attimo prima dal pilota che sganciò le bombe e leggerete come si svolsero i fatti.
La nonna, che era del 1908, visse in prima persona quei tragici anni: l'ascesa di Mussolini, la sua presa di potere, la dittatura, la guerra, la resistenza, la liberazione.
Di famiglia erano, come idee politiche, fedeli alla monarchia e non gradirono la salita al potere di Benito Mussolini.  Nella casa in cui viveva, situata poco distante da Piazza del Duomo, viveva anche una famiglia ebrea i May Meyer, amici dei nonni. Abitavano nell'appartamento in fianco. Poiché ad un certo punto entrarono in vigore le leggi razziali, i nonni decisero di costruire un armadio a muro dietro al quale vennero nascoste due stanze dove vennero ospitati i loro amici. Vi rimasero per due anni. Nel caseggiato, durante il fascio, c'era anche un personaggio che aveva il compito di controllare gli inquilini e di osservare, o meglio spiare. Le situazioni equivoche, quando si presentavano, venivano riferite al capo di zona che usciva in compagnia delle camicie nere e controllava. Purtroppo quest'uomo scoprì, per l'appunto, che i nonni nascondevano questi ebrei ed un giorno, mentre la nonna era fuori, buttarono giù la porta, irruppero in casa e riuscirono a scovare i due coniugi ed i loro figli. Vennero deportati e perirono in campo di concentramento ad Auschwitz.  In quei giorni, le famiglie spesso si trovavano divise per idee politiche ed era abbastanza usuale che due fratelli fossero nemici perché uno partigiano e l'altro camicia nera. Nel caseggiato di Corso Italia, quello dei miei, c'era per l'appunto la famiglia del piano di sotto che viveva questa situazione. La madre dei due ragazzi era disperata ed un giorno i due fratelli litigarono così ardentemente che finirono con le armi in pugno. Il minore perì ucciso dal maggiore. Erano momenti di angoscia, non sapevi mai, quando uscivi di casa per fare la spesa se tornavi incolume. Spesso accadevano retate e ci poteva andare di mezzo chiunque. Quando i tedeschi promulgarono la legge che per ogni soldato ucciso dovevano perire dieci italiani la vita divenne ancor più pericolosa. Mio nonno ben presto lasciò la nonna per andare sulle montagne. Era un partigiano che voleva, ad ogni costo, combattere il regime e liberare la sua nazione. Diceva che era dovere di ogni padre riuscire a riconquistare la libertà per farne dono alle generazioni future. Così la nonna rimase da sola in compagnia della ragazza che era a servizio in casa, Tina.  Durante il periodo delle vacanze scolastiche la mia mamma e sua sorella minore tornavano dalla Svizzera per trascorrere alcuni giorni in famiglia. L'ultima volta, però, non riuscirono più a ripartire e così rimasero in città. La sera la nonna era solita ospitare delle riunioni con i partigiani resistenti e a volte erano presenti anche un gruppo di medici che aiutavano come potevano.
Mia mamma ricorda ancora oggi uno strano avvenimento. Un giorno, era pomeriggio, giunsero a casa alcuni uomini per informare la nonna che suo marito era stato preso dai tedeschi. Poco dopo, suonarono alla porta un gruppo di altre persone, erano ufficiali delle SS. La mia mamma era una bambina piccola, aveva all'incirca 4/5 anni, però non scordò mai quei lunghi, neri, e lucidi stivaloni che indossavano i soldati delle SS. NOVELLE DI FAMIGLIA (MILANO E LA GRANDE GUERRA)
Stavano, appunto cercando mio nonno Mario. Non arrestarono la nonna fu solo portata in caserma per un interrogatorio ma lei disse che il nonno l'aveva lasciata da un anno e che non aveva più sue notizie. Spesso usavano il fatto che la nonna fosse una donna sposata ad un altro marito ed entrambi i due uomini si conoscevano e si stimavano perciò si misero d'accordo di usare questa situazione per confondere le acque. Rincasata la seguirono un folto gruppo di partigiani che si chiusero in sala e vi rimasero due o tre ore. Ad un certo punto la mamma andò nella stanza che portava all'entrata e vi trovò un individuo. Era diritto dinnanzi a lei, silenzioso, alto magro con la faccia pallidissima, indossava un soprabito beige uguale a quello del suo papà. Iniziò, rimanendo impalata , a chiamare a gran voce la nonna per avvisarla che un uomo era entrato, non si sa come, visto che nessuno aveva aperto la porta, chiusa con varie mandate di chiave. Dopo poco accorgendosi che la nonna non arrivava corse verso la sala ed iniziò a battere la porta a vetri che la divideva dal corridoio. Finalmente la nonna aprì e dopo aver ascoltato la mamma si precipitò in entrata per vedere chi fosse. Non trovò nessuno ma appeso sul portabiti, posto vicino all'ingresso, vide il soprabito del nonno. Era lo stesso indumento che indossava la figura che aveva visto la mia mamma. Con in mano il trench, la nonna si precipitò nella sala dove si trovavano gli altri e lesse un bigliettino che scovò in una tasca. Avvisava che da lì a poco il nonno sarebbe stato deportato in un campo di concentramento in Germania perché era un ricercato partigiano, nemico dello Stato. Corsero tutti fuori.  Gli amici del nonno, seppe in seguito la mamma, si recarono alla stazione centrale dove doveva essere imbarcato il nonno e con un'azione improvvisa riuscirono a salvarlo.  La mamma non si spiegò mai come quella figura riuscì ad entrare in casa visto che nessuno aprì mai la porta e come, anche si dileguò. Inoltre rimase sempre il dubbio di come il soprabito che aveva addosso il nonno fosse riuscito ad arrivare sull'appendi abito. Quando la mamma venne interrogata e descrisse l'uomo molti capirono che si trattava del Signor May Meyer. Ciò però risultò ancor più misterioso in quanto innanzitutto la mamma, poiché aveva vissuto fino ad allora in Svizzera, non lo conosceva, e, poi,  a quel tempo doveva essere già morto, nelle camere a gas di Auschwitz. In casa dei miei durante tutto il periodo della guerra un'equipe di medici del policlinico, insieme ad alcuni partigiani  svolgevano anche tante sedute spiritiche e proprio quel giorno era in atto una di esse.
Quando andavo alle medie vivevo ancora in quell'appartamento e molto spesso accadevano strani eventi, tipo quadri che si muovevano, porte che si aprivano e oggetti che cambiavano di posto. Io e mia sorella avevamo il terrore di stare da sole in quella casa. Un giorno venne a trovarci una coppia di nostri amici che vivevano in Liguria, ad Arenzano, il nostro luogo di villeggiatura estiva. Appena la ragazza, Laura, varcò la soglia sbiancò e svenne. Quando si riprese disse che lei era una medium, noi non lo sapevamo, e che aveva sentito tante presenze, alcune buone altre malefiche, in quell'appartamento. Ci consigliò di chiamare un prete esorcista per liberare la casa. Dopo la benedizione molti e strani accadimenti cessarono, ma noi ragazze comunque continuammo ad avere paura di stare sole. Esasperata la mamma prese la decisione di cambiare finalmente abitazione. Tornando alla nonna. Lei raccontò anche che in tempo di guerra molte famiglie patirono la fame e così, siccome a lei arrivavano le provviste dagli Abruzzi, effettivamente non soffrirono mai la carenza di cibo, spesso lei metteva a disposizione degli altri inquilini il cibo: così venivano spartiti la marmellata, l'olio, lo zucchero tra i vari nuclei però non diede mai nulla alla famiglia dell'informatore che si rese colpevole dell'orribile morte dei Signori May Meyer. L'ultimo periodo della guerra divenne ancor più pericoloso per chiunque in quanto i partigiani combattevano per le vie: c'erano continue sparatorie. Era ritornato dai monti anche il nonno che fece parte di coloro che inseguirono il Duce che stava tentando di fuggire verso Dongo. Mio nonno era in prima fila in Piazzale Loreto il giorno che i milanesi impiccarono Mussolini. Purtroppo però non riuscì a ragionare. Cieco di rabbia volle ad ogni costo cercare e stanare colui che mandò a morte i May Meyer e lo uccise a sangue freddo insieme a tutta la famiglia. Non so bene come se la cavò ma questa sua azione compromise il recupero dei beni confiscati dai fascisti e così la nonna si ritrovò senza più i suoi appartamenti, le sue gioiellerie e i suoi altri possedimenti. Si salvò la casa di Roseto che però venne persa più in là ma questa è un'altra storia. Ovviamente il dissesto finanziario che ne seguì fece incrinare i rapporti che erano di già tesi in quanto non era molto semplice vivere vicino alla nonna perché era molto, troppo gelosa e spesse volte, incurante del suo abbigliamento, poteva anche essere in camicia da notte e pantofole, usciva di casa per inseguire il nonno ritenuto colpevole di tradimenti. Fu così che anche la storia d'amore tra Giannina e Mario terminò ma, come accade con il primo marito Giovanni, la nonna rimase comunque vicina e si continuarono a vedere, spesso entrambi i nonni si presentavano insieme a casa per farci visita. Terminata la guerra la vita della nonna riprese la sua routine. La mia famiglia, si può dire, fu matriarcale la presenza maschile fu sempre in secondo piano. Così nell'appartamento di Corso Italia mia mamma sua sorella la nonna e Tina vissero le loro esistenze.  Le bambine venivano seguite soprattutto dalla giovane ragazza che andò a vivere dalla nonna e che ebbe una vita avventurosa ma triste. Tina divenne in seguito anche la mia tata.

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