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Novità da Scoprire: Vivi da morire di Piero Melati e Francesco Vitale in ricordo della strage di Via D'Amelio

Creato il 22 luglio 2015 da Roryone @colorelibri
Buon pomeriggio Lettori Colorati. E' passato ormai qualche giorno dall'anniversario della strage di Via D'Amelio, l'attentato in cui perse la vita Paolo Borsellino, collega e amico di Giovanni Falcone, uccisi entrambi dalla mafia nel tentativo di liberare il nostro Paese da questo orribile polipo, nonostante questo però voglio segnalarvi questo importante libro edito da Bompiani, sperando di farvi riflettere su questo argomento ed invogliarvi a leggerlo con la dovuta attenzione.
Novità da Scoprire: Vivi da morire di Piero Melati e Francesco Vitale in ricordo della strage di Via D'Amelio
Prezzo: € 16,00Pagine: 318Editore: Bompiani
IL LIBRO
Palermo, a metà degli anni ’80, è una città abitata dalla violenza, dove l’unico principio ordinante è la legge del sangue di mafia. Dall’estate dell’85, nelle strade cominciano a cadere giusti diventati scomodi, come il poliziotto Ninni Cassarà e il giornalista Mauro Rostagno, vittime ignare come il giovanissimo Gianmatteo Sole, industriali come il presidente del Palermo calcio Roberto Parisi, che coltivava il suo sogno sportivo. In una città che ride per le battute in tv di Franco e Ciccio, all’ombra dei lavori per il nuovo stadio, altri innocenti si aggiungono alla lista nera: a dare voce a tutti loro è il “cuntaru” per eccellenza, il cantastorie Colapesce. In equilibrio tra favola e inchiesta, e tra un castello e uno stadio, Vivi da morire racconta di eroi conosciuti e persone dimenticate, storie di mafia e coraggio, di lacrime e della forza di un sorriso, da leggere come un’appassionante ballata civile, che rivela ai genitori e ai figli dell’Italia di oggi come la Sicilia fu l’incubatrice e il laboratorio di tutti i mali di una nazione, e delle sue più grandi speranze.
GLI AUTORI
PIERO MELATI è nato a Palermo. È viceredattore capo del “Venerdì di Repubblica” e si occupa di attualità e cultura. Ha seguito per il giornale “L’Ora” di Palermo la guerra di mafia e il primo Maxiprocesso a Cosa Nostra. Con “Repubblica” ha aperto le redazioni locali di Napoli e Palermo ed è stato viceredattore capo della cronaca di Roma. FRANCESCO VITALE è nato a Palermo. Ha cominciato la carriera giornalistica negli anni Ottanta al quotidiano “L’Ora” di Palermo. È stato corrispondente per “l’Unità” dal capoluogo siciliano. Nel 1992 è passato in Rai, al Tg2, dove ricopre il ruolo di inviato speciale dal 1993.Per quest’ultima testata ha seguito i più importanti eventi nazionali e internazionali: dai fatti di mafia alle grandi emergenze. È stato inviato in Iraq e in Afghanistan. È autore di numerose inchieste per “Tg2 Dossier”.
Quest'anno le tradizionali celebrazioni di Capaci e via D'Amelio precedono un altro anniversario che cadrà nel 2016: i trent'anni del Maxiprocesso a Cosa Nostra. Fu definito il processo di Norimberga della mafia. Eppure, nel corso di questi trent'anni, la materia oggetto di quel processione è diventata esausta. Retorica, luoghi comuni, inflazione, professionismi, cattivo giornalismo, veleni, depistaggi, faziosità, rimozione delle responsabilità, ne hanno fatto una pessima fiction dalle troppe, incomprensibili puntate. Il Maxiprocesso fu invece, il culmine di una moderna tragedia greca. E come tutte le tragedie, essa avrebbe richiesto e tuttora richiede di essere affrontata anche alleggerendone i pesi, a volte persino con scanzonata levità. I caduti, e i valori che essi testimoniano, non ci hanno mai chiesto di essere seriosi. Anzi. Ma neppure di ridurli a macchiette di cui spettegolare sotto l'ombrellone. Non ci si è mai accorti, per esempio, che il 1985, l'anno che precedette il Maxiprocesso, firmò una frattura incolmabile tra il mondo dei vivi, dei salvati, e l'altro universo, quello degli eroi e delle vittime, i sommersi. Essi perirono nel rogo di una guerra civile mai dichiarata, e che mai con il suo vero nome è stata chiamata. E quello fu l'anno cruciale di una spaccatura che ha lasciato irrisolti tutti i nodi, a partire da quelli della giustizia, della corruzione, della mafia, del terrorismo e del crollo della Prima Repubblica. Quel 1985, e tutte le nefandezze che vi si sono perpetrate, hanno incubato i mali irrisolti della storia italiana di oggi. Malanni diventati cronici tanto da richiedere, per essere affrontati, un occhio ormai del tutto libero da interessi terreni e personali. Certe volte persino ingenuo nella sua chiarezza. I vivi, i contemporanei, come li definiscono loro, non hanno infatti più una sola verità da dire, perché troppe bugie hanno consumato. E spesso i morti, per il tramite della voce del cantastorie, non fanno altro che ripetere quanto avevano già detto in vita, mai ascoltato allora e oggi dimenticato.

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