Gli orrori della guerra, di un conflitto come la Seconda Guerra Mondiale non in Europa bensì in terre lontane, nei campi di prigionia giapponesi, in cui gli inglesi diventarono schiavi al servizio di una ferrovia, è qualcosa che non ti aspetti quando sei digiuno di storia britannica e vieni attratto da una locandina coi volti di Colin Firth e Nicole Kidman in atteggiamento melodrammatico.
Entrare nella sala in cui proiettavano “Le due vie del destino” nella mia testa era una digressione, l’occasione per vedere due grandi interpreti recitare in un dramma carico di sentimento. Non mi aspettavo quindi una storia di amore a 360 gradi come quella di Eric Lomax: devoto marito, attaccato alla vita e uomo con una dignità e un rispetto per sè stesso oltre la norma.
Photo: courtesy of Koch Media
Eric Lomax è realmente esistito, è morto un paio di anni fa alla veneranda età di 93 anni con al suo fianco l’amore della sua vita, Patti. L’uomo ha avuto un’esistenza segnata dai traumi di una prigionia non qualunque, bensì quella in Tailandia, sotto il controllo giapponese in cui, alla giovane età di 21 anni, un gesto altruistico e eroico gli costò immane assurde torture che gli turbarono il sonno per le seguenti decadi, sino a mettere a rischio il suo matrimonio con la splendida moglie.
Lomax ha il volto di Colin Firth, la consorte quello di una Nicole Kidman insolitamente bruna, con un caschetto scialbo e abiti dimessi per impersonare meglio colei che salverà l’uomo dalla deriva. I due attori riempiono lo schermo, ogni inquadratura coglie anche le minime espressioni, tutte efficaci. Come accennavo sopra, un rapido sguardo al poster ci lascia intuire molto sulle abilità recitative di entrambi. Anche gli alter ego più giovani riescono a comunicare alla sala la sofferenza fisica e il dolore di tante mutilazioni e umiliazioni. L’accento non è però sul campo di guerra bensì sui segni che esso ha lasciato nelle menti dei sopravvissuti e nelle loro reazioni interpersonali negli anni a venire.
Photo: courtesy of Koch Media
I sopravvissuti a tanto orrore avranno mai trovato la quiete? Avranno mai realmente perdonato gli aggressori? Avranno mai superato le ingiustizie che spesso gli egoismi e gli interessi politici provocano? Il film diretto da Jonathan Teplitzky narra una storia tremenda, ma non mostra tutto quello che avrebbe potuto, solo quanto basta per farci comprendere e, presumibilmente, farci provare, il disagio psicologico dei protagonisti così da apprezzare l’incredibile gesto che quest’uomo – di uno spessore fuori dal comune – è riuscito a fare.
Come talvolta accade, però, il melodramma si è conquistato tutto lo spazio disponibile, quindi se non siete dei fan sfegatati delle storie lacrimose, potreste provare un po’ di sonnolenza o involontariamente dedicarvi allo smartphone, mentre la vostra compagnia sarà travolta dalle pagine di questa incredibile storia che inneggia alla vita, unica e irripetibile, all’amore in tutte le sue forme più alte, e al sommo perdono.
“Le due vie del destino” è un film adatto a chi non vuole dimenticare uno dei capitoli dolorosi del 1900, a coloro che apprezzano opere in stile retrò e cercano buon cinema che non turbi loro il sonno.
Vissia Menza