Qualche settimana fa al teatro Pim Off di Milano ho assistito a uno spettacolo dal titolo “Girls girls girls”, messo in scena dalla compagnia Container con la regia di Giulia Abbate, e ispirato al bel documentario di Lorella Zanardo dal titolo “Il corpo delle donne”.
L’inizio è eloquente: una donna entra in scena nuda, con sul volto solo una maschera che ricorda il pupazzo Hello Kitty, ma che non ha alcuna fessura per la bocca. Dopo una manciata di interminabili minuti, arrivano tre uomini che si passano la donna nuda e muta l’uno con l’altro. E la usano, proprio come se fosse un qualunque altro oggetto di consumo.
Per il resto dello spettacolo vediamo i provini agghiaccianti di altri personaggi, sia donne che uomini, che mostrano a una provinatrice fredda e cinica, talenti improbabili e soddisfano pretese incomprensibili, offrendosi anch’essi, con una punta di masochismo, come oggetti da consumare. Tuttavia, l’effetto déja vu è inevitabile: quanta televisione passa sotto i nostri occhi esattamente costruita così? Programmi che sono contenitori del vuoto e in quel vuoto vediamo scene grottesche non lontane da quelle ci mostra questo spettacolo.
“Girls Girls Girls”, a dispetto del titolo, va oltre lo stereotipo di genere sulla mercificazione televisiva del corpo della donna. Esso mostra come, in una televisione completamente a servizio degli istinti più bassi, anche l’uomo non abbia più solo il ruolo di soggetto consumatore, ma anche quello di oggetto consumato.
E’ uno spettacolo, questo, che usa poco le parole ma che usa molto il corpo, quel corpo così esibito, così “usato” e abusato, da creare pericolosi cortocircuiti nel nostro vivere quotidiano.
E’ uno spettacolo, questo, che non pone domande allo spettatore, né tantomeno trova risposte, ma ci fa tornare a casa con una sensazione di oppressione e una grossa voglia di capire meglio cosa diavolo stia succedendo a noi individui, sia uomini che donne, alla nostra umanità, alla nostra intimità, alla nostra dignità, caratteristiche queste, che fino a poco tempo fa tanto nettamente ci distinguevano da un banale oggetto.
E tuttavia, i dati agghiaccianti con cui si chiude lo spettacolo riportano tristemente l’attenzione sulla donna, che se non è per niente il “sesso debole”, è sempre, però, quella che subisce maggiormente la degenerazione della nostra società: in Italia il 31,9% delle donne tra i 16 e i 70 anni, quasi 7 milioni, ha subito violenza fisica o/e sessuale; sempre in Italia, 101 donne sono state uccise nel 2006, 107 nel 2007, 112 nel 2008, 119 nel 2009. Nel 2010 ogni 3 giorni é stata uccisa una donna. Dai 1 gennaio al 31 Marzo 2011 sono già state uccise 35 donne.
Come possiamo continuare a “consumare” e ad “essere consumati” in questa deriva mediatica e sociale, dopo una tale bollettino di guerra?