di LUCIA PALMERINI
8 marzo, festa della donna, mimose, cioccolatini, baci e abbracci.
Mia nonna non aveva il diritto di voto. Mia nonna per lavorare i campi 12 ore veniva pagata 2 soldi, gli uomini il doppio. Mia nonna non poteva tenere i soldi nel suo portafoglio ma doveva lasciarli al capofamiglia, il suocero. Mia nonna ha sgomitato, ha lottato, ha litigato per poter votare, per vedere il suo sudore essere pagato come quello di un uomo, per avere i “suoi” soldi nel “suo” portafoglio.
Mia madre ha iniziato a lavorare a 14 anni. Ha dato da mangiare ai fratelli, ha scelto l’indipendenza del lavoro, l’inidipendeza di scegliere come vivere la sua vita.
Le loro (nostre) conquiste non sono cadute dal cielo per opera di grazia divina, ma sono state il risultato di anni di lotta, di forza di volontà, di impegno. Ma sono soprattutto il frutto del lavoro di squadra.
Oggi non festeggio, o meglio non c’è niente da festeggiare.
Siamo state sapientemente messe le une contro le altre, abbiamo deciso che l’essere donna dovesse essere omologato, che gli altri dovevano scegliere per noi. Abbiamo permesso che le donne fossero divise in due gruppi, le buone e le cattive.
Le autoreggenti non vanno usate, sono da puttana, la gonna corta significa che sei frivola; non conta cosa c’è nella testa ma cosa porti addosso.
Mia nonna mi diceva che giudicare non spettava a noi, che contavano le azioni e la testa, non le chiacchiere. Oggi non è così per colpa in primis di noi donne. Ed io non festeggio, non festeggio finché una donna verrà accusata di aver fatto carriera con la vagina o chissà quale mezzo. Non festeggio finché non capiremo che fare squadra (tra donne) è l’unica via per essere veramente libere ed emancipate.
E poi parliamoci chiaro per fare carriera serve ben altro.