Magazine Diario personale

Il quaderno di Soraya

Creato il 12 marzo 2015 da Miroku

“Facciamo 10 minuti di pausa”. Luca aspettava con ansia che il professore di Geometria ed Algebra pronunciasse quella frase. Era al primo anno di ingegneria e l’impatto non era stato dei migliori, come accade un po’ a tutti quelli che, come lui, provenivano di un istituto tecnico. Il primo anno devi recuperare il passo coi liceali, loro già conoscono quella incomprensibile lingua fatta di segni che, con pochi simboletti alla lavagna, ti rappresentano i più contorti teoremi che si possano immaginare.

Aveva bisogno di quella pausa, voleva andare fuori e respirare l’aria fresca di quell’otto marzo. Nel giorno in cui si festeggia la donna, marzo aveva dato una tregua alle continue piogge che avevano contraddistinto il mese precedente. Si poteva finalmente sentire il calore del sole sul viso ed ascoltare gli uccelli cinguettare tra gli alberi centenari del cortile dell’Università. Si allontanò dal gruppo di studenti che cercavano di scambiarsi opinioni su quanto appena appreso tra un caffè ed una sigaretta e si diresse verso il vialetto che portava al laboratorio di informatica. Il vialetto, costruito lungo due file di alberi, aveva ai suoi lati una serie di panchine in cemento sulle quali molti studenti passavano il tempo a studiare durante le giornate primaverili. Proprio su una di quelle panchine, Luca la vide per la seconda volta.

panchine

Indossava un paio di jeans blu scuro, degli stivaletti marroni ed un cappottino di un rosso molto scuro. In testa aveva un cappellino di lana dello stesso colore che le copriva quasi gli occhi nonostante la temperatura fosse più che gradevole. Aveva il viso rotondo e dalla pelle molto chiara che contrastava col rosso marcato delle labbra, era alta poco più di un metro e mezzo e sembrava a tutti gli effetti una bambina, anche se in realtà era anche lei una ragazza del primo anno. Stava da sola in disparte con alle orecchie le cuffie dell’iPod e sembrava assorta nell’ascolto, mentre contemporaneamente con una matita scriveva qualcosa su un quaderno.

Luca l’aveva notata al corso di matematica, seduta due file più avanti, mentre era assorta nel prendere appunti. Scriveva così velocemente che pensò potesse riuscire a trascrivere letteralmente le parole del professore, sembrava così concentrata da non notare tutto quello che le accadeva intorno, tuttavia non aveva mai mostrato alcun segno di insofferenza durante le due ore della lezione. Due ore che a Luca erano sembrate un’eternità.

Le passò davanti sperando che stavolta fosse lei a notarlo, ma non alzò lo sguardo dal suo quaderno. Si avvicinò fino a quasi un metro e provò a parlarle ben conscio dell’impossibilità di essere ascoltato a causa dell’iPod.

“Ciao!” le disse consapevole del probabile fallimento. Lei continuò a scrivere con la stessa velocità con la quale prendeva appunti ignorandolo. Si avvicinò ancora un pochino e alzò leggermente il tono della voce: “Ciao!”. Stavolta lei sentì e mise in pausa l’iPod, alzò lo sguardo verso Luca ma un secondo dopo torno a fissare il suo quaderno.

“Ciao” rispose in un tono che a lui non sembrò nè scocciato nè entusiasta.

“Ti ho vista al corso di matematica, come mai non segui anche il corso del professor Guida?” chiese lui per rompere il ghiaccio.

“Non mi piace, alla lavagna scrive solo tanti simboli, ma poche parole e pochi numeri” rispose lei sempre con lo stesso tono. Luca capì che l’argomento non era quello giusto. “Cosa scrivi?” provò stavolta.

“La canzone che sto ascoltando, è in dodici ottavi”. In quel momento Luca notò che in realtà non si trattava di un quaderno ma di un pentagramma.

“Riesci a trascrivere la musica che ascolti con quella velocità? Perché trascrivi le canzoni?” disse.

“Le conservo, per quando non potrò ascoltarle. Se non posso ascoltarle posso leggerle, è uguale” rispose lei. Luca  ora non sapeva se essere sorpreso, incuriosito o affascinato da quella ragazza.

“E cosa trascrivi ora? Che pezzo è?” le chiese.

“È musica degli anni ottanta, mi piace la musica di quegli anni, sto trascrivendo tutti i pezzi che mi piacciono” rispose tenendo ancora lo sguardo basso verso il pentagramma.

“Gli anni ottanta! Che tempi… I Queen….” provò a continuare il discorso. Lei fece un respiro profondo, come per prendere fiato.

“I Queen nascono a Londra nel 1979, il gruppo era originariamente composto dal cantante e pianista Freddie Mercury, dal chitarrista Brian May, dal batterista Roger Taylor e dal bassista John Deacon. Hanno venduto tra i 150 e i 300 milioni di dischi. La loro prima raccolta del1981,Greatest Hits, risulta l’album più acquistato in assoluto in Inghilterra, con oltre sei milioni di copie vendute”. Le parole uscirono dalla sua bocca in raffica, senza una pausa per respirare e senza che alzasse mai lo sguardo dal pentagramma.

Luca rimase stupefatto dalla conoscenza che aveva della band, ma capì che aveva fatto centro perché aveva nominato probabilmente la sua band preferita. “Sai praticamente tutto sui Queen?” domandò.

“Solo quello che ho letto su Wikipedia” rispose lei come se fosse normale ricordare tutte quelle cose.

In lontananza il gruppetto di corsisti iniziò a rientrare e Luca capì che i dieci minuti di pausa stavano per terminare. “Sta per ricominciare la lezione, devo rientrare. Ci rivediamo a matematica” disse.

“Si, a matematica” rispose lei.

“Io mi chiamo Luca” disse aspettandosi la risposta. Lei non rispose, alzò di nuovo lo sguardo verso di lui per un istante ma tornò subito al suo pentagramma. Stavolta Luca riuscì a notare i suoi occhi nocciola. “Tu come ti chiami?”.

“Io mi chiamo Soraya De Martini” rispose.

“Buona festa della donna Soraya De Martini” disse allontanandosi mentre Soraya tornò a scrivere sul pentagramma.

Luca sorrideva mentre tornava in aula. Quella ragazza che sembrava una bambina era veramente strana, ma a lui piaceva quel suo modo di comunicare, gli piaceva il modo in cui restava concentrata a trascrivere della musica come fosse la cosa più importante da fare al mondo. E poi, com’era possibile che ci riuscisse con tanta semplicità? Doveva essere davvero intelligente.

Nelle giorni successivi, alle lezioni di matematica lui continuò ad osservare Soraya mentre trascriveva parola per parola quanto diceva il professore. Ogni giorno andava a trovarla sempre alla stessa panchina, dove lei imperterrita continuava a riempire il suo quaderno di canzoni. Continuò ad andare alla panchina fino alla fine dei corsi a maggio. Soraya man mano iniziò a parlargli sempre di più. Alcune volte sembrava dimenticarsi del suo iPod e passava quasi tutto il tempo a parlare con Luca, altre volte non voleva saperne di interrompere le sue trascrizioni. Tutte le volte però, teneva lo sguardo basso, guardandolo dritto negli occhi solo per qualche istante.

A Luca piaceva stare con Soraya, con lei poteva conversare di tante cose, aveva un proprio particolare punto di vista su tutti gli argomenti, ma soprattutto era una vera enciclopedia della musica degli anni ottanta. Aveva notato che ogni volta che ne ascoltava una, metteva in pausa il suo iPod ed alzava lo sguardo verso di lui per esclamare “è un dodici ottavi!” accennando un sorriso che Luca aveva visto poche volte sul suo volto.

Dopo un po lui cercò di capire per bene cosa fosse un dodici ottavi. Scoprì che si trattava sepmlicemente di un tempo musicale, una ritmica particolarmente utilizzata nelle ballate degli anni settanta e ottanta. Forse a Soraya piaceva molto quel tipo di musica.

Il 12 giugno i corsi erano quasi finiti, le aule quel giorno erano quasi vuote. Luca e Soraya erano nell’aula studio al secondo piano dell’edificio principale della facoltà intenti a risolvere esercizi di algebra.
“Questa estate dovrò tornare dai miei per tre settimane ad agosto” annunciò Luca. Soraya per la prima volta lo fissò dritto negli occhi, per la prima volta lui riuscì a leggere esattamente l’espressione di delusione nei suoi occhi, e mentre gli mostrava la bellezza di quegli occhi nocciola spaventati, Soraya rimase in silenzio. Luca le prese la mano sorpreso dalla sua reazione, lei dapprima non reagì ma poi strinse forte. Voleva baciarla, lo voleva fortemente proprio in quel momento, e così fece. Fu il bacio più dolce della sua vita, Soraya tremava dall’emozione o forse dalla paura, era esattamente la ragazza un pò bambina che aveva conosciuto pochi mesi prima su quella panchina.

“Io ho bisogno di te, tu non puoi capirlo ora, ma ho davvero tanto bisogno di te” disse Soraya con lo sguardo ancora insolitamente rivolto verso di lui. E Luca non capì davvero. Era così innamorata di lui da non volersi allontanare per tre settimane?
“E io ci sarò, sono solo tre settimane poi saremo di nuovo qui” rispose e la baciò nuovamente. “Ti chiamerò ogni giorno, sempre che il tuo iPod ti faccia ascoltare lo squillo del telefono” aggiunse sorridendo.

Gli esami per Soraya furono una passeggiata, aveva una calma ed una freddezza incredibile e rispondeva con lo stesso ritmo a tutte le domande. Luca riuscì a starle dietro con un pò di difficoltà, ma alla fine anche lui portò a casa gli esami necessari. Insieme erano usciti indenni dal terribile primo anno della facoltà di ingegneria.

Quando tornò dai genitori per le vacanze Luca chiamò Soraya ogni giorno, lei rispondeva al primo squillo con la solita voce calma ma che lui aveva imparato ad interpretare come felice.

Il 13 di agosto il cellulare di Soraya era spento. Restò spento il giorno dopo ed il giorno dopo ancora. Luca pensò di chiamare gli amici della facoltà, ma nessuno sapeva dove potesse essere Soraya. In effetti, nessuno tranne lui la conosceva così bene. Il panico lo raggiunse quando si rese conto dell’impossibilità di rintracciarla, non conosceva nessuna sua amica, collega o parente. Conosceva il suo indirizzo di casa solo perché le aveva chiesto dove abitava. Decise allora che sarebbe andato a casa sua, l’unico posto dove avrebbe potuto sapere dov’era Soraya. Saltò in macchina e percorse senza mai fermarsi i duecentotrenta chilometri che separavano la casa dei suoi genitori da quella di Soraya.

La famiglia De Martini viveva in un appartamento al quarto piano di un palazzo sito in un vialetto al centro della città. Luca suonò al citofono senza pensare che stava per conoscere i genitori di Soraya, desiderava solo rivederla e parlarle. “Buonasera signora De Martini sono Luca, un amico di Soraya, è in casa?”

La risposta arrivò in ritardo: “Oh… ma….” altre piccole pause. Alla fine, ancora indecisa, gli disse: “Ok, sali pure. Quarto piano.” Una voce femminile, ma non era Soraya.

“E così sei tu Luca, Soraya mi ha parlato di te. Io sono Maria, sono la sua sorella maggiore.” disse con un tono che non prometteva bene. “Non è in casa? Non riesco a rintracciarla” rispose lui ansioso di capire cosa ci facesse in quella casa è dove fosse finita la ragazza di cui si stava innamorando.

Maria sembrava dover affrontare la conversazione più difficile della sua vita. Si sedette e sorseggiò del thè dalla tazza sul tavolino. Abbassò lo sguardo per nascondere il rossore nei suoi occhi: “Tre giorni fa Soraya è andata al concerto, immagino te l’abbia detto. Sulla strada del ritorno c’è stato un terribile incidente. È stato tutto velocissimo, quando sono arrivati i soccorsi era già troppo tardi.” Ora lo sguardo abbassato non poté nascondere le lacrime di Maria. A Luca mancò il respiro, restò immobile senza riuscire a tirar fuori alcuna parola. Si stava innamorando di Soraya, questo era quello che credeva. Il non poterla mai più rivedere gli fece realizzare istantaneamente che invece l’amava già da un pezzo.

“I miei genitori, non so quando riusciranno a…. Soraya era il loro orgoglio, lei era speciale. Il modo in cui affrontava la vita, nonostante tutto, era fantastico” disse Maria che ora non nascondeva più le lacrime.

“Nonostante tutto?” chiese Luca. Maria lo guardò sorpresa: “Non lo sapevi? Non te ne eri mai accorto?” disse. Lui non parlò, ma il modo in cui guardò la sorella di Soraya le diede la conferma.

“Soraya aveva la sindrome di Asperger, un disturbo simile all’autismo, ma dalla forma molto più lieve. Avrai notato che aveva difficoltà ad inserirsi nei gruppi.” Luca fece un cenno affermativo con la testa, ma non aveva ancora capito di cosa stesse parlando Maria. “Spesso non riusciva a capire le emozioni delle persone o non riusciva ad esprimere le sue, a volte aveva bisogno di qualcuno che le spiegasse come interpretare le situazioni.”

Luca ricordò le parole di Soraya: “tu non puoi capirlo ora, ma ho davvero tanto bisogno di te”.

Maria continuò: “Ma allo stesso tempo riusciva a concentrarsi in maniera straordinaria su quello che faceva, era un piccolo genio. Quando l’appassionava una cosa….”

“La musica…” intervenne Luca con un filo di voce.

“Si in questo periodo aveva imparato ad ascoltarla e riscriverla, ha un quaderno pieno di…” Fu a quel punto che Luca pianse.

Maria capì improvvisamente. Accennò un piccolo sorriso d’orgoglio per la sorellina: “Voi… eravate molto legati?” Luca fece nuovamente un cenno di assenso. “Ecco perché lei…” Si alzò di scatto e si diresse verso il corridoio. “Aspetta un secondo, ho una cosa per te”. Tornò pochi secondi dopo col quaderno di Soraya, quello sul quale trascriveva tutte le canzoni nei pomeriggi su quella panchina dell’università. “Credo che questo debba essere tuo” disse.

Luca non riuscì a guidare, lasciò la macchina vicino casa di Soraya e camminò per tanto tempo fino a raggiungere la sua abitazione da studente, quella vicino all’università che condivideva con altri tre ragazzi. La casa ora era vuota ed era il posto perfetto dove poter stare, ora che non riusciva a pensare che a Soraya, al suo essere speciale, ai suoi modi strani e a quanto gli sarebbe mancata. Crollò sul letto ancora col quaderno in mano e restò per un pò nel buio e nel silenzio della casa vuota.

Accese la lampada sul comodino ed aprì il quaderno, l’unica cosa che gli era rimasta di Soraya. C’erano una serie di canzoni degli anni ottanta, le cui melodie principali erano rigorosamente trascritte sul pentagramma, con note, accordi e testi. In ogni pagina c’erano una data ed un titolo. Luca sfogliò diverse pagine, ripercorrendo le trascrizioni che giorno per giorno Soraya aveva fatto. A metà quaderno a Luca esplose il cuore. Era la pagina dell’otto marzo. Stavolta non c’era un titolo di una canzone, ma al suo posto c’era scritto:

“Per Luca.”

Sul pentagramma c’era una chiave di violino seguita da due numeri, un dodici sopra un otto. Le varie note scorrevano sul pentagramma accompagnate dal testo.

“If you don’t know me by now
You will never never never know me”

Accese il computer sulla scrivania, cercò il titolo di quella canzone e la ascoltò.

“E’ un dodici ottavi” disse. E sorrise.


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