Rassegna di cifre e dati notevoli che forse vi siete persi, raccolti durante la settimana appena trascorsa su media, web e innovazione digitale
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È il coefficiente relativo al gap retributivo in McDonald’s relativo al divario tra il compenso annuo del proprio ceo e quello di un impiegato medio dell’azienda. Ovvero, per dirla ancora più semplicemente, per fare la busta paga di Donald Thompson (7,29 milioni di dollari) a capo dell’esecutivo della multinazionale del cheeseburger è necessario mettere assieme quelle di 644 suoi dipendenti medi. La classifica delle aziende con gap retributivo più alto è stata realizzata da Bloomberg: McDonald’s è saldamente in testa visto che al secondo posto — discretamente distanziata — troviamo Community Health System con un coefficiente di 414 e poi scorrendo le varie posizioni: Union Pacific 262, JP Morgan Chase 222 e infine, ultima delle 11 aziende prese in considerazione, HCA Holdings con un coefficiente di “solo” 198.
La graduatoria non è stata fatta casualmente: la Securities and Exchange Commission (l’ente federale americano analogo alla nostra Consob) ha varato una norma che obbliga le public company americane a rendere noto ogni anno il proprio coefficiente di gap retributivo. Divario che in questi anni è aumentato notevolmente: l’Economic Policy Institute sostiene che se nel 1978 mediamente un amministratore delegato guadagnava 30 volte di più di un suo dipendente nel 2014 ne guadagna 300 volte di più. Anche se la norma voluta dalla commissione federale lascia una certa discrezionalità nel calcolare lo stipendio medio dei dipendenti è sicuramente un’arma importante per chi si batte da anni negli Stati Uniti per ridurre questo divario. Tempi duri per i mega direttori galattici dovranno, forse, rinunciare alla poltrona in pelle umana?
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È il numero di persone (al momento di scrivere questo articolo) uccise dalle forze dell’ordine americane dall’inizio dell’anno secondo The Counteded il nuovo progetto editoriale realizzato dalla redazione americana del Guardian. Il portale è un database interattivo aggiornato anche grazie alle segnalazioni dei lettori (anche attraverso piattaforme che garantiscono l’anonimato), che comunque sono verificate e approfondite dai giornalisti della redazione. Il progetto nasce dopo le polemiche seguite all’uccisione del 18enne Michael Brown a Ferguson in Missouri e, soprattutto, dal fatto che il Governo degli Stati Uniti non possiede dati completi sule persone uccise dalla polizia. Proprio questa mancanza è stata fonte di forte polemiche in America ed ha fatto decidere il Guardian di costruire un database su questo argomento. I dati sono leggibili su diversi livelli ad esempio con schede per ogni persona uccisa e specifiche per ogni Stato.40
In minuti è la durata della sessione media da mobile per utente registrata da YouTube nel secondo trimestre di quest’anno, un aumento anno su anno rispetto al medesimo periodo di ben il 60%. Oggi la piattaforma di condivisione di video è valutata 70 miliardi di dollari ed ha 1 miliardo di utenti. Eppure scrive il Los Angeles Times in un articolo molto interessante al di là di questi numeri c’è da chiedersi quali siano oggi i reali margini di crescita di YouTube e quale sia il futuro della piattaforma nella mezza rivoluzione operata nell’organizzazione a Mountain View con la creazione di Alphabet. Insomma in un momento di grande concorrenza da parte di altre piattaforme (da Facebook a Vine) YouTube è oggi arrivata ad una dimensione troppo grande per continuare a rinnovarsi? Consolidata la sua supremazia saprà trovare spazio per ulteriori voci di profitto o potrà solo stare a guardare l’avanzata dei suoi rivali? Non sembra una questione da poco visto che a Google i numeri relativi ai margini di crescita hanno un peso notevole.
4,16
In Megabit per secondo è la velocità di connessione media in Belgio, la più veloce in Europa. O meglio il valore medio più alto nei paesi europei dove è attiva Netflix. Sì perché l’azienda di video streaming ogni anno pubblica l’ISP speed index in base alle proprie rilevazioni. In Europa dietro al Belgio troviamo Lussemburgo (4,12 Mbps), Svizzera (4,08 Mbps) e Paesi Bassi (4,03 Mbps). Guardando fuori Europa invece vediamo che lo speed index degli Usa è di 3,20 Mbps. Lo riporta Tom’s Hardware che specifica anche che di medie matematiche si tratta e quindi “In alcuni paesi una media alta potrebbe essere correlata a prestazioni diffuse piuttosto allineate, mentre in altri a forti polarizzazioni – pochi che vanno velocissimi e molti che vanno piano”. L’indice di velocità redatto da Netflix indica anche la velocità per singolo operatore, evidenziando quello che ha ottenuto la velocità maggiore e quella peggiore. Ovviamente con lo sbarco in Italia da ottobre della piattaforma anche noi prossimamente avremo la possibilità di avere disponibili tutti questi dati relativi agli operatori di casa nostra. E sarà molto interessante confrontarli.