Rassegna settimanale di numeri e dati notevoli che forse vi siete persi, selezionati durante le nostre letture su media, web e innovazione digitale
1 trilione
I numeri (impressionanti) dei big data: se ne parla da almeno 25 anni ma per quanto rigurada la data mining nelle aziende c’è ancora molto da sviluppare, lo scrive il Sole 24 Ore che mette insieme in una bella infografica un bel po’ di numeri davvero notevoli che danno un quadro di cosa parliamo davvero quando parliamo di big data: 206 miliardi di euro il valore aggiunto in termini di Pil che arriverebbe dallo sfruttamento in Europa dei big data, 1 trilione di euro il valore stimato dei big data delle nostre vite digitali in Europa, 44 trilioni di gigabyte il volume dati previsti per il 2020, 36 miliardi di dollari spesi in servizi per big data dalle aziende nel mondo, 2,4 trilioni di Pc, tablet e telefonini venduti nel 2015.
60 miliardi
Bloomber e la tecnologia: il terminale Bloomberg Professional che elabora per i suoi 325 mila abbonati circa 60 miliardi di informazioni di mercato al giorno è ancora riconducibile al suo progenitore del 1982 (quando la media company fu fondata) proprio come un MacBook del 2015 conserva il Dna del modello 128K dal 1984. Lo scrive FastCompany che ripercorre in un articolo molto interessante la storia di Bloomberg attraverso i suoi strumenti tecnologici e la loro evoluzione in questi oltre tre decenni di storia dell’agenzia.
8,8 miliardi
Il content marketing e i freelance: secondo eMarketer le aziende spenderanno negli Usa in “pubblicità nativa” 4,3 miliardi di dollari nel 2015 e 8,8 miliardi entro il 2018. L’ascesa del content marketing sta chiedendo sempre più professionalità in grado di produrre contenuti e informazioni e questo crea nuove prospettive per i giornalisti, in particolare per i freelancer, scrive MediaShift in un articolo dal titolo significativo Why Freelance Journalists are Shifting Their Careers to Content Marketing che analizza anche i problemi etici che questo cambiamento sta proponendo così come le nuove prospettive di guadagno (le aziende pagano di più che non gli editori). A proposito di soldi, secondo quanto scrive MediaShift lo stipendio medio di un giornalista negli Usa è compreso tra i 40 e i 46 mila dollari all’anno.
10%
Quartz e la rinascita della homepage: all’inizio ci aveva rinunciato, pensando che tanto il traffico passava per altre vie (leggi i social) poi nell’agosto del 2014 con l’aumento della produzione di contenuti ci aveva ripensato e aveva adottato una sorta di homepage, pur non rinunciando la sua struttura “a rullo”. Oggi Quartz la testata economica di Atlantic Media che in pochi anni si è conquistata un’audience di 15 milioni di utenti unici/mese sembra riscoprire il valore della homepage: la redazione si è ampliata da circa 20 a 60 redattori, sono state lanciate le edizioni per l’India (che vale circa 500 mila utenti/mese) e per l’Africa, in totale oggi la testata produce circa 60 articoli al giorno. Con così tanti contenuti diversificati un luogo dove metterli in vetrina diventa una necessità, in più dicono i responsabili del sito la hompage dal suo lancio ha portato stabilmente circa il 10% di traffico. Ne parla Digiday che racconta del perché Quartz stia imparando ad amare la hompage nonostante la scelta iniziale di non utilizzarla. [Noi comunque di Quartz come case history un po’ di tempo fa ne avevamo scritto qui].
90%
Lo strapotere della Universal e della Disney sui blockbuster: se guardiamo ai soli primi 10 film per incassi del 2015 negli Stati Uniti (che comunque da soli rappresentato più di 1/3 del totale del box office americano) il 90% se lo spartiscono le due case cinematografiche, rispettivamente 1,5 miliardi la Universal (che con il solo Jurassic World ha incassato 652 milioni di dollari) e 1,2 miliardi la Disney (che con The Age Of Ultron ha totalizzato 459 milioni di dollari). Agli altri studios non rimangono che le “briciole”: 0,328 miliardi. Lo scrive il Washington Post che specifica inoltre che nel totale degli 8,6 miliardi degli incassi totali registrati dal box office negli Usa, la Universal ha una quota di mercato del 26,3% mentre la Disney del 16,7%.
[immagine via Flickr realizzata da Manu Gómez e pubblicata con licenza Creative Commons]