Ma quelle cifre dovrebbero essere punto di partenza, rappresentano il dito, non la Luna. E, per di più un dito monco, perché ci dicono qualcosa solo di alune realtà. Che dominano il mercato, certo, ma, di nuovo, se l’obiettivo è capire il mercato del fumetto, abbiamo bisogno di altri dati, altrimenti continueremo a parlare delle stesse realtà.
Vale intanto la pena di sottolineare la difficoltà di recuperare dati di vendita: si pensi che nel Rapporto sul graphic novel 2013 dell’AIE (Associazione Italiana Editori) si scrive senza giri di parole che: “mentre è possibile quantificare i dati del venduto delle pubblicazioni classificate come «graphic novel» nelle librerie, risulta pressoché impossibile estrapolare il medesimo dato da fumetterie ed edicole (ma anche dalle vendite dirette) dato che non rientrano nelle rilevazioni operate dagli istituti di ricerca che seguono il mercato del libro” (pag. 3).
Come usare numeri che ignorano fumetterie, edicole e fiere? Quanto possono essere significativi?
Ma quali altri dati servirebbero, per tentare di disegnare il mercato del fumetto?
Intanto la distribuzione delle quote di mercato fra le varie testate e case editrici. Questa e la distribuzione delle vendite rispetto ai titoli ci dà un’idea della biodiversità presente nel mercato (biodiversità nominale, per quella sostanziale serve ovviamente analisi su un altro livello). Sempre aiutandoci con i dati dagli altri mercati (per gli USA, www.comichron.com dà quelli del maggior distributore, Diamond; per la Francia si può utilizzare il rapporto annuale dell’ACBD), possiamo iniziare a interrogare le differenze in quelle distribuzioni. Negli USA, nel 2014, che continua a registrare diminuzioni, non abbiamo niente come i tre titoli italiani citati all’inizio, ma abbiamo un centinaio di titoli che ogni mese vendono almeno 20.000 copie. In Francia, nel 2013 abbiamo oltre 280 titoli con tiratura annuale di almeno 20.000 copie. Questi numeri, comunque fra loro disomogenei sono, come dire, una vista sull’editoria, che ne indica varietà di proposta e ricchezza globale generata. Ad accompagnare questi numeri servirebbero intanto stime sui punti di pareggio dei vari titoli.
Ma un dato importante sarebbe la distribuzione di reddito da fumetto degli autori, come minimo il numero di autori (almeno scrittori e disegnatori) che vivono di solo fumetto. Questo permetterebbe di indagare sulla distribuzione della ricchezza che il mercato del fumetto genera e quindi, in ultima istanza, sulla sua capacità di attrazione e potenzialità di sviluppo.
E infine, bisognerebbe indagare sul lettore. Il primo dato dovrebbe essere la distribuzione dell’età, per certi versi più importante di quella geografica, del reddito e dell’istruzione. Questo perché quando abbiamo variazioni di vendita di una testata (o di una collana) è importante capire chi sono i lettori perduti e chi quelli trovati, perché diverse possibilità portano allo stesso risultato numerico, ma con significati e impatti diversi. Esempio: se la mediana dell’età dei lettori di una testata è molto avanzata e aumenta nel tempo (magari con una velocità maggiore di un anno all’anno), la prima interpretazione è che quella testata perda lettori per cause naturali, senza attrarne di nuovi e che quindi, in assenza di interventi, è destinata a scomparire.
Oppure chi sono i lettori di nuovi titoli? Restando nel mainstrea seriali, faccio il caso di testate quali Long Wei, Saguaro, Dragonero, Orfani, Lukas, A Panda piace, Jenus: i loro lettori, che cosa leggevano prima? Sono lettori guadagnati al fumetto in generale, alla casa editrice? Che cosa li ha attratti? O sono lettori già esperti? A seconda della risposta cambia anche il significato dei numeri di vendita, perché anche i lettori, come le azioni secondo Cuccia, vanno pesati e non solo contati.