La nuova produzione della filodrammatica di Rignano si intitola Europa e prevede un battibecco tra il capocomico Renzi nella parte di presidente del consiglio di ministri e il vecchio mestierante di palcoscenico Junker. Una esilarante pantomima tra l’attor giovane che pretende di non andare con il cappello in mano davanti ai burocrati di Bruxelles e il navigato marpione che dice di non essere affatto a capo di una banda di funzionari pignoli perché se lo fosse avrebbe sbugiardato fino in fondo i conti farlocchi presentati dall’Italia.
Il pubblico si diverte molto perché il personaggio del vecchio, interpretato da Juncker era stato non solo votato dal partito del premier, ma presentato come colui che avrebbe introdotto flessibilità nel dogma austeritario. E anzi un bagnino di passaggio – personaggio minore, ma con un suo intenso spessore come bugiardo -tale Gozi in arte doppia lacca, sosteneva in uno spassoso passaggio che proprio l’Italia aveva “dettato contenuto e metodo” del programma europeo. In platea si percepisce subito qual è il meccanismo narrativo della farsa, anche perché esplicitato dallo stesso Juncker: il giovane Renzi nelle segrete stanze accetta di tutto e di più, poi esce e dice che che ha ottenuto ciò che voleva o che la partita è andata in pareggio o di fronte alla pratica impossibilità di interpretare la parte del miles gloriosus, rivolta la frittata e mette nell’odiata categoria dei burocrati, quelli che politicamente ha scelto e contribuito ad eleggere.
Fosse così la farsa sarebbe troppo esile e dopo qualche risata ci si ritroverebbe di fronte a un meccanismo di bugie fin troppo scontato e noioso. Ma ecco il colpo di genio che risolleva lo spettacolo: sappiamo dalle indicazioni del copione che Renzi spinge per le elezioni anticipate a primavera nella speranza di tenersi attaccato parte di un credito che gli sarà impossibile conservare ancora a lungo. E lo spettatore arriva a chiedersi se le bacchettate di Juncker siano uno sfogo sincero contro il doppio forno renziano o non siano parte di una rappresentazione tesa ad accreditare l’attor giovane come “eretico” rispetto a Bruxelles e dargli carburante elettorale. Se così fosse ci ritroveremmo di fronte a un paradossale inedito nel panorama europeo: quello di un premier che accetta sino in fondo le indicazioni nefande della governance continentale, ma che appare come contrario ad esse, evitando così il discredito che dovunque sta colpendo le elite che si sono rese complici di un disegno economico politico reazionario.
Seduti in platea si ride, ma si frigge di rabbia. Anche perché le clausole di salvaguardia che prevedono l’aumento delle accise e di tre punti di Iva qualora non fossero raggiunti gli obiettivi di bilancio dichiarato, mettono al riparo la Ue da scherzi da chierichetto. E dunque le mazzate pubbliche di Juncker suonano un po’ stonate. Lo spettatore viene preso in un meccanismo pirandelliano: così è se vi pare. Mentre fuori dal teatro si addensa la tempesta.