Vincitore dell’Orso d’oro e dei riconoscimenti riservati agli attori protagonisti e a tutto il cast (non era mai successo), Una separazione è il film che ha dominato l’ultimo Festival di Berlino.
Con quest’opera Asghar Farhadi rappresenta la condizione della società iraniana: i vincoli famigliari, la presenza (o meglio, l’ingerenza) della religione, la condizione delle donne, l’opprimente (onni)presenza dello stato. Per tutte queste tematiche si potrebbe parlare di una sorta di “nuovo realismo” iraniano, al fine di indicare un modo di fare cinema che punta tutto sulla capacità di rendere ancora più labili i confini tra realtà e fiction.
In Una separazione c’è, infatti, una finzione densa di realtà che tradisce un meccanismo per il quale la seconda si confonde nella prima. E così gli attori sembrano interpretare persone più che verosimili e l’intero contesto sembra corrispondere al più meticoloso identikit della società iraniana, carica di costrizioni e contraddizioni. Dunque, senza mai tradire una sola denuncia esplicita, il film si trincera dietro l’infallibilità della ricostruzione di una situazione possibile: le sequenze sono scandite da porte aperte o chiuse, da scorci di stanze o da finestre in cui spesso appare un terzo personaggio che ascolta in silenzio due dialoganti e funge da alter ego dello spettatore.
Noi ci sentiamo allo stesso tempo sodali e giudici ma non di un aspetto della vicenda, bensì dell’intera storia. Una badante ha avuto un grave incidente durante un diverbio con il datore di lavoro. Ogni personaggio offre la propria versione dei fatti, facendo emergere questioni problematiche: la disoccupazione, le leggi sul lavoro, il sistema giudiziario. Avremo il coraggio di giudicare o di parteggiare per una delle due fazioni coinvolte?
Nelle lunghe sequenze di dialoghi la tensione è altissima (c’è chi ha parlato di thriller) e finalmente, dopo tanto tempo, rimaniamo incollati allo schermo per sapere come andrà a finire.
Voto: 4½/5
(Film visionato il 5 novembre 2011)