Fonte: La Stampa
Kiefer Sutherland proprio non ci voleva pensare. A una nuova storia, a un nuovo impegno lavorativo dopo 24 che lo aveva lasciato senza forze. Poi il colpo di fulmine con una sceneggiatura, Touch che lo ha proiettato in un mondo che proprio non conosceva e che gli è piaciuto conoscere. Lui, un padre alle prese con un figlio autistico che non riesce a gestire. Tredici episodi commissionati da 20th Century Fox Television a Tim Kring, (creatore di Heroes e per questo nominato agli Emmy), la regia del pilot affidata a Francis Lawrence ( Come l’acqua per gli elefanti ), e tra i produttori esecutivi lo stesso Sutherland che ha presentato il progetto al Mipcom di Cannes e che vedremo su Fox in primavera.
In principio non voleva neanche leggere la sceneggiatura, poi ne è diventato protagonista e produttore esecutivo. Che cosa l’ha convinta?
«Il tema e la scrittura. Proprio non pensavo di tornare così presto. 24 mi aveva messo a terra. Poi è arrivato lo script di Touch e io ho risposto che non se ne parlava proprio. “Almeno leggilo”, mi ha detto il produttore. Ed eccomi qui. Vede, in 24 tutte le emozioni me le tenevo dentro. La mattina andavo al lavoro e sapevo che avrei avuto una brutta giornata».
Invece in «Touch» che succede?
Succede che il mio personaggio mi permette di mettere le emozioni a disposizione di tutti».
La storia è molto forte.
«Al centro c’è Martin Bohm, un padre vedovo incapace di comunicare con suo figlio autistico, Jake, interpretato da David Mazouz. Dopo diversi tentativi di mantenere Jake a scuola, Martin contatta l’assistente sociale Clea Hopkins (Gugu Mbatha-Raw) che scopre l’innata abilità del ragazzo con i numeri. Jake vede cose che agli altri sfuggono, come le connessioni tra eventi apparentemente scollegati».
Un punto questo che l’ha molto colpita.
«Sì, perché ci insegna a stare in contatto con gli altri, nella stessa stanza, come dall’altra parte del mondo. Oggi lo possiamo fare, lo dobbiamo fare».
Così però rischiamo di perdere di vista il molto vicino a favore del molto lontano.
«Capita, certo. Si è in connessione con persone lontanissime da noi e non ci curiamo di chi ci sta accanto. Di questo si parla anche nella serie, oltre che del rapporto padre-figlio. Quando Martin scopre queste particolarità di Jake, lo mette in contatto con il professor Arthur Dewitt, il bravissimo Danny Glover, un esperto di casi simili. Ma toccherà solo al padre scoprire in che modo questi misteriosi numeri influenzino le vite di persone a lui vicine».
Una sorta di giallo, anche.
«In un certo senso, anche. Ripeto, tutto è connesso, ciascuno di noi, a prescindere dal personale potere sociale può condizionare gli altri. Noi dobbiamo solo riappropriarci di questo potere».
Come produttore esecutivo che cosa ha fatto?
«Per un anno ho lavorato assieme agli autori sulla sceneggiatura, ho studiato casi simili e ho contribuito alla scelta della colonna sonora che in parte ho composto. Touch è una serie ambiziosa, è incredibilmente eccitante lavorare con persone fantastiche come Tim Kring. Qui si intrecciano diversi piani, scienza e spiritualità più la speranza che noi si sia tutti connessi. E arriva la scoperta di quel filo invisibile che guida le nostre vite destinate ad avere impatto dirompente sugli altri».
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