Mi è stato chiesto di intervenire su questo tema all'inaugurazione del nuovo centro di formazione del gruppo Cariparma-Credite Agricole. a Piacenza. Restituisco in sintesi le linee essenziali della mia riflessione.
L'ultimo decennio è stato un vero laboratorio per la formazione. Sancita la crisi del modello corsuale, basato sull'aula e sulla centralità del formatore, si è assistito a due percorsi di trasformazione delle pratiche formative.
Da una parte il paradigma dell'e-learning ha funzionato da utopia salvifica e da profezia occupazionale. Ha funzionato da utopia salvifica nella misura in cui è sembrato promettere la possibilità di portare la formazione everywhere ed anytime, rendendo compatibile la necessità dell'aggiornamento continuo con il tempo del lavoro. Ha funzionato da profezia occupazionale perché, dopo lo sboom della New Economy, sembrava predisporre spazi per nuovi profili professionali legati appunto alle funzioni che la catena dell'e-learning prevede: data surfing, instructional design, system administration, web development, web mastering, tutoring, ecc.
L'altro paradigma, di segno opposto, che si è rapidamente affermato è quello dell'out-door. Anche in questo caso il rifiuto dell'aula è chiaro: mentre l'e-learning se ne emancipava eleggendo a luogo della formazione uno spazio “altro” (virtuale vs reale), l'out-door la supera predisponendo contesti e sceneggiature alternativi, lontani in tutti i sensi dall'ordinarietà dello spazio-tempo lavorativo (straordinario vs quotidiano). Vicino per soluzioni e modalità narrative ai coevi reality televisivi (la ricerca di luoghi esotici, comunque “chiusi” e isolati, la centratura sulle dinamiche relazionali tra i partecipanti, la somministrazione di prove che proprio attraverso lo spirito di corpo e il reciproco aiuto si possono superare), l'out-door cerca di intercettare quelle che sembrano essere le esigenze più attuali dei contesti professionali: leadership, lavoro in team, decision making, creativià e pensiero divergente.
La percezione è che entrambi i paradigmi abbiano già esaurito la loro spinta propulsiva e che l'astuzia della tradizione (di cui parlava Benjamin facendo riferimento alla tendenza tipica di ogni avanguardia a riconvertirsi in tradizione) stia già “normalizzandoli”. La tentazione di un “ritorno all'aula” - magari corretta nel senso del “blended” - è forte. E allora quale prospettiva è possibile disegnare che eviti la tentazione di questo ripiegamento per provare a immaginare uno spazio per l'innovazione?
Fornisco tre indicazioni operative, che corrispondono ad altrettante tendenze del mercato e della ricerca della formazione attuali, due metodologiche e una tecnologica.
La prima è quella della cosiddetta “formazione breve”. Si tratta di una formazione fortemente modulare, che prende corpo in micro-interventi formativi estremamente focalizzati e circoscritti, che possano occupare lo spazio di 2-4 ore al massimo.
La seconda è quella che porta a ripensare l'e-learning nella prospettiva del Knowledge-Management. Questo significa prestare attenzione ai processi di produzione, condivisione e ricerca efficace della conoscenza favorendo la nascita di comunità di interesse o di profilo professionale all'interno delle organizzazioni e garantendo a queste comunità i mezzi per condividere la conoscenza secondo una logica emergente attraverso processi di peer-to-peer.
La terza linea di tendenza è tecnologica e coincide con l'adozione degli strumenti del Web 2.0. Penso ai blog o ai wiki aziendali, alla gestione folksonomica delle risorse (grazie alle pratiche del tagging e del commento), alla continuità che questi strumenti possono garantire rispetto alla presenza on line che ciascuno dei membri dell'organizzazione comunque sviluppa, indipendentemente dalle sue pratiche in azienda.
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