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E’ il lavoro il problema numero uno per i giovani italiani: questa la denuncia del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che recentemente ha certificato -se mai servissero ulteriori conferme- la crisi nera in cui si trovano le nuove generazioni. Poi c’è anche chi promette -come il premier Silvio Berlusconi- di passare il testimone ai giovani. Non rendendosi probabilmente conto di aver ormai passato da anni il limite estremo di anzianità, che lo ha reso -in 20 anni- il “nonno” di quasi tutti gli altri leader mondiali contemporanei.
Dichiarazioni che fanno comunque ben comprendere come il tema giovani, nell’ultimo anno e mezzo, sia balzato in cima all’agenda politica. Al momento si tratta perlopiù di dichiarazioni poco concrete, seguite da “fatti” ampiamente insufficienti. Azioni riparatorie, a livello politico, per lo più recalcitranti e “obbligate”.
I giovani italiani restano le principali vittime di un Paese gerontocratico e corporativo. Ma almeno hanno ottenuto che si parli di loro. Il prossimo passo dovrebbe naturalmente essere la riscrittura completa delle regole-base di questa Italia, modernizzandola e ringiovanendo per davvero questa mediocre classe politica e dirigenziale. Una classe sconfitta dalla storia, che rischia di trascinare l’intero Paese nel suo fallimento. “Quando ciò accadrà?”, resta la “big question”.
Per intanto, i giovani italiani continuano a “votare con i piedi.” Semplicemente facendo le valigie, e andandosene da questo Paese, che non li merita. Lasciandolo nelle mani di mediocri e cooptati. Augurando a chi resta “buona fortuna”. Emigrano verso Paesi più moderni e capaci, per davvero, di apprezzarne il merito. Altro che parole… fuori dalle Alpi ci sono i “fatti”!
Andiamo per ordine, perché gli ultimi giorni sono stati veramente un diluvio di dati… impressionanti:
-i dati Istat sui Trasferimenti di Residenza sono esemplificativi: tra il 2008 e il 2009 si è verificato un boom di cancellazioni dall’anagrafe. In un solo anno la quota di espatriati è balzata da 61.671 (2008) a 80.597 (2009). Parliamo solamente di connazionali che hanno cambiato residenza, senza dunque tenere conto di chi vive all’estero, ma ancora non si è deciso a segnalarlo ufficialmente. Il dato di 80mila è il più alto dal 1995 ad oggi. Nei fatti, anzi, la quota annuale di espatri è quasi raddoppiata in 15 anni. Sempre secondo l’Istat, i laureati italiani emigrati all’estero nel 2008 sono stati 6500 circa. Uno su cinque si è trasferito in Gran Bretagna. A seguire Germania (11%), Svizzera (10,1%), Francia (8,7%) e Stati Uniti.
-hanno fatto molto discutere pure i dati del Rapporto Fondazione Migrantes, già citati su questo blog la scorsa settimana. Stupisce che ci si soprenda ancora, sui giornali, per una situazione ormai sotto gli occhi di tutti. Non era forse evidente che siamo tornati un “Paese di emigranti”? Non era forse evidente -e da anni- che l’estero ci ruba i più bravi, perché qui li prendono a calci nel sedere un giorno sì e l’altro pure, privilegiando solo mediocri arraffoni? Secondo il rapporto, nel 2010 altri 113mila connazionali (soprattutto laureati) vivono e lavorano all’estero. Le partenze effettive superano le 50mila annue: si tratta soprattutto di giovani, qualificati. E’ pura “prostituzione intellettuale” fingere di stupirsi di questo nuovo esodo, che questo blog denuncia da quasi due anni. Ben sintetizza il commento di “Avvenire”: “Sì, siamo tornati a essere un popolo di migranti. Comunque e sempre per necessità: di spazi, di autonomia, di finanziamenti. Liberi di emigrare, meno liberi di restare“.
-molto interessante il sondaggio del magazine online jobmeeting.it. Secondo cui, bel il 95,3% (novantacinque virgola tre per cento!) dei 1089 giovani cacciatori di impiego intervistati dichiarano di aver pensato -o addirittura già progettato- un espatrio per trovare lavoro. Il target dei giovani intervistati ha meno di 25 anni nel 19% dei casi, e tra i 25 e 35 anni per una quota pari al 69,3%. Quasi la metà di loro è laureata. Per i curatori della ricerca, questi giovani si autopercepiscono come “generazione migrante”. Per la direttrice del magazine, Raffaella Giuri, “i giovani hanno la sensazione di essere stretti in un angolo, nel quale non hanno prospettive. Per questo progettano di espatriare, alla ricerca di un riconoscimento professionale e della realizzazione professionale“. La dice tutta l’intenzione di ritorno: il 23,6% di loro, una volta espatriato, non intende più rientrare in patria. Però…
-scappano a gambe levate anche i medici: per il Segretariato italiano dei giovani medici (Sigm), sempre più laureati in medicina, soprattutto del centro-sud, stanno lasciando il Paese. Anche in questo caso, i Paesi preferiti di approdo sono Inghilterra, Francia e Germania. A peggiorare la situazione si sono messi anche i piani di rientro imposti alle regioni, con relativi tagli. Il Sigm sta ricevendo un numero crescente di domande, da parte di giovani medici che vogliono studiare o lavorare all’estero. L’outlook sul futuro presenta un quadro paradossale: con i nostri giovani medici in fuga, e una previsione di pensionamento del 40% dei medici attualmente al lavoro… occorrerà probabilmente “importare” camici bianchi, prevedibilmente dall’est Europa, per far fronte al turnover.
-secondo l’Istituto Italiano per la Competitività (ICom), i nostri “cervelli” in fuga all’estero hanno portato con sé circa quattro miliardi di euro. Si tratta del valore di tutti i brevetti da loro realizzati al di là delle Alpi, negli ultimi 20 anni. Il 35% dei migliori 500 ricercatori italiani abbandona il Paese, denuncia lo studio. Tra i migliori 100, uno su due (!) sceglie di lavorare all’estero, mentre nei “top 50″ la percentuale di fuga sale al 54%. Solo 23 ricercatori sono ancora in Italia. Una catastrofe, che altro commentare…
-per ManagerItalia, i nostri giovani sono già oggi quattro milioni meno, rispetto ai coetanei francesi. Siamo il Paese in Europa con la più bassa percentuale di “under 25″. Sei laureati su cento, secondo lo stesso Rapporto, lasciano il Paese. Né sappiamo attrarne, di giovani qualificati, dall’estero: il nostro saldo è negativo (-1,2%), contro il 5,5% della Germania e il 20% degli Usa. Sarà forse colpa della nostra pervasiva classe dirigente gerontocratica? Nel 1990 l’età media dell’élite italiana era di 51 anni. Quindici anni dopo era salita a 62 anni. Vergognoso, semplicemente vergognoso… Per non parlare dell’inesistente mobilità sociale.
Ben fotografa la situazione il Censis, nel 44esimo “Rapporto sulla Situazione Sociale nel Paese”. Quella attuale è un’Italia appiattita e senza pulsioni vitali, che non riconosce più l’autorità e le regole, e non riesce più a desiderare… apaticamente soffocata dalla ridondanza dell’offerta. Dove i giovani sono poco fiduciosi nella possibilità di trovare un’occupazione, ma anche poco disponibili (giustamente, ndr) a trovarne una a qualsiasi condizione. Giovani italiani che hanno avvertito più degli altri gli effetti della crisi. Auguri!
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