Nuovo dei Daft Punk ascoltato, continuamente pisello toccato! Basterebbe questa frase per rendere tutta la goduria e l'eccitazione provocata dall’ascolto di “Random Access Memories” ma, se siete incontentabili e volete saperne qualcosina di più, via alla recensione track-by-track.
“Give Life Back to Music” C’è già tutto nel titolo del primo pezzo. I Daft Punk ridanno vita alla musica. Ridanno eccitazione alla musica, grazie anche a tutto l'hype e all'attesa di quelle che per un disco non si sentivano da parecchio tempo. Lo fanno con un pezzo super disco anni Settanta, con tanto di chitarrina alla Chic che è ‘na chiccheria assoluta. Quando ho sentito partire la voce robotica, poi, mi sono venute le lacrime. Primo pezzo, e ho già gli occhi lucidi. Per una maledettissima voce robotica. Non sono normale. Ma non sono normali nemmeno loro. I Daft Punk sono riusciti a dare vita ai robot. “Human After All” annunciavano con il titolo del precedente album e adesso lo dimostrano per davvero, con il loro lavoro più umano.
“The Game of Love” È un lentone. È un pezzo romantico che riprende il discorso che i Daft Punk avevano lasciato in sospeso con i brani più emotivi di “Discovery”. In fin dei conti, questo “Random Access Memories” è il suo vero successore. Del primo album capolavoro “Homework” e del terzo controverso “Human After All”, che pure io ho apprezzato parecchio, c’è giusto qualche eco robotica, così come dal lavoro sulla colonna sonora di Tron: Legacy è derivata una notevole abilità nel costruire atmosfere cinematiche. Tra i loro lavori precedenti, però, “RAM” ricorda soprattutto “Discovery” e di certo la cosa non spiace.
“Within” Piano da musica classica, da Notturni di Chopin suonato, dalla guest-star Chilly Gonzales. Il tutto condito da una voce da robot crooner. Frank Sinatra dall’Aldilà è stato riportato in vita sotto forma di robot e canta per noi questa ballata.
“Instant Crush” L’attacco del pezzo mi ricorda “Last Christmas” dei Wham!, solo che qui a cantare non c’è George Michael, bensì Julian Casablancas degli Strokes, con una voce filtratissima e daftpunkizzatissima. “Instant Crush”, cotta immediata per questo album e per il contagioso e allo stesso tempo malinconico ritornello della canzone. Come una “Last Christmas” adatta per tutti i santi giorni dell’anno e non solo per il periodo delle feste natalizie.
“Lose Yourself To Dance” Primo pezzo con Pharrell Williams alla voce, pulita, senza troppi effetti. Dal titolo potete già immaginarvi tante cose…
Più che una canzone, è un perdersi nella musica, nel ritmo, nel ballo. Un pezzo ipnotico che porta via. L’equivalente in musica dell’ecstasy, senza dover assumere ecstasy. Non necessariamente.
“Touch” Toccatevi. Questo disco è un invito a toccarsi. È talmente godurioso, che bisogna toccarsi. Viene automatico. Guest-star del pezzo è Paul Williams, compositore premio Oscar per Il fantasma del palcoscenico che regala al brano un tocco teatrale e melodrammatico, prima che il tutto si trasformi in una splendida cavalcata disco in stile Blondie, e poi muti ancora, diventi una nuova ballad robotica con un che di religioso e spirituale. Religioso e spirituale alla maniera dei Daft Punk, come nella “Veridis Quo” presente su “Discovery”. Pregate, o toccatevi. O toccatevi pregando. Fate ciò che volete. “Random Access Memories” è fantasia, creatività, potere all’immaginazione. Questa è musica per il popolo della vera libertà.
“Motherboard” Non una sinfonia. La madre di tutte le sinfonie. Ancora meglio: la scheda madre di tutte le sinfonie.
“Fragments of Time” Pezzo pop dance bello paraculo, con cui la DeLorean dei Daft Punk questa volta si sposta più verso gli 80s che i 70s. A me ricorda un po’ “Somebody’s Baby” di Jackson Browne. Guest-star di turno è il producer Todd Edwards, che già aveva lavorato con i due alieni francesi (ma sono più alieni o più francesi?) su “Face to Face” presente in “Discovery”. Ve l’avevo detto io che “RAM” è l’erede ideale di “Discovery”.
“Contact” Suite da titoli di coda epica e futuristica. Il finale si trasforma in un delirio. Un delirio perfettamente orchestrato dai due maestri Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter.
I contatti con gli alieni, gli incontri ravvicinati del terzo tipo per adesso sono finiti qui. Chissà quanto ci faranno aspettare i Daft Punk in futuro per un loro nuovo album, ma adesso non ha importanza. “RAM” è uno di quei dischi che suoneranno e risuoneranno a lungo e che divideranno i fan e la critica tra adoratori e detrattori. Chi ha detto che questo non è l’album dell’anno, comunque, ha ragione. Questo non è l’album dell’anno, è l’album del millennio, anche se forse dopo un solo ascolto è un po' prematuro dirlo. E chi pensa che i robot e i computer non abbiano sentimenti, adesso dovrà ricredersi, perché in questa RAM batte un cuore. Il nostro. (voto 9/10)