Una rappresentazione dell’evoluzione dell’universo
Se un noto artista italiano ha le idee chiare su quale sia il più grande spettacolo dopo il Big Bang, in un articolo in via di pubblicazione sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics un terzetto internazionale di cosmologi presenta le proprie idee su come sia possibile ricostruire indirettamente l’evento primordiale da cui l’universo ha avuto inizio, il cosiddetto Big Bang appunto, attraverso il beat di un metronomo assai particolare.
Big Bang, “il grande botto”, è in realtà un nomignolo dispregiativo appioppato a metà del secolo scorso a un modello cosmologico allora in elaborazione, basato sull’idea che l’universo iniziò ad espandersi in un preciso momento nel passato a partire da uno stato iniziale estremamente denso e caldo. Modello divenuto poi prevalente, anche grazie al sostegno di diverse evidenze osservative. Fondamentale la scoperta della radiazione di fondo cosmico (CMB, cosmic microwave background), che possiamo immaginare come il “bagliore residuo” del Big Bang, generato a partire da circa 400.000 anni dopo l’inizio. Prima di allora l’universo era buio, perché radiazione e materia erano ancora strettamente accoppiate.
Proprio nella CMB i ricercatori sperano di trovare indizi che confermino l’incredibilmente rapida espansione iniziale dell’universo nei suoi primi istanti di vita, la cosiddetta inflazione, ad esempio attraverso la rilevazione delle finora inafferrabili onde gravitazionali (vedi qui su Media INAF il caso di BICEP2). Esistono tuttavia modelli teorici alternativi a quello dell’inflazione cosmica, che non richiedono condizioni iniziali per il Big Bang altrettanto estreme. Teorie come quella del “Big Crunch”, che prevede il collasso di un precedente universo come punto di partenza per il Big Bang.
Secondo gli autori del nuovo studio, esiste la possibilità di stabilire quale sia il modello giusto con l’utilizzo di particolari marcatempo, definiti orologi primordiali standard quantistici, che avrebbero un diverso “ticchettio” nel caso fossero stati forgiati attraverso un processo di inflazione cosmica, oppure passati attraverso un Big Crunch.
Crediti: Yi Wang e Xingang Chen
Per capire meglio di cosa si tratti, facciamo un passo indietro. «Oltre a stimare le abbondanze dei principali costituenti del nostro universo, come materia, energia oscura e barioni» spiega Fabio Finelli dell’INAF-IASF di Bologna, a cui abbiamo chiesto un commento sul nuovo studio, «i dati cosmologici più recenti ci forniscono un quadro sempre più accurato delle proprietà delle fluttuazioni primordiali di densità, che hanno dato origine alle strutture cosmiche mediante instabilità gravitazionale». In particolare, le misure effettuate dal satellite Planck dell’ESA sulle disomogeneità della radiazione di fondo cosmico hanno determinato con grande accuratezza l’impronta geometrica delle fluttuazioni quantistiche presenti alla nascita dell’universo.
L’inflazione e i modelli alternativi hanno predizioni simili per queste variazioni spaziali di densità, confortate anche dall’accordo con i dati osservativi disponibili. Le onde gravitazionali primordiali darebbero più informazioni, ma finora non sono mai state osservate. Gli autori del nuovo studio si sono accorti che esiste anche una misura temporale che risulterebbe differente da un caso all’altro, una sorta di orologio per misurare il passaggio del tempo all’inizio dell’universo.
Questi orologi primordiali standard sono in realtà delle particelle subatomiche “pesanti”, che si comportano come pendoli, oscillando avanti e indietro in modo universale e standard. L’avvio dell’oscillazione per queste particelle può avvenire in modo quanto-meccanico, senza spinta iniziale.
Il CMB visto da Planck e WMAP. Crediti: ESA and the Planck Collaboration; NASA / WMAP Science Team
«Gli autori evidenziano come ipotetiche particelle di massa molto elevata siano, al pari delle onde gravitazionali, anch’esse molto sensibili all’evoluzione dell’universo durante la fase primordiale in cui vengono generate le fluttuazioni di densità», spiega Finelli. «L’impronta di queste particelle massive come modulazione dello spettro e modifica della statistica delle perturbazioni di densità potrebbe quindi aiutarci a capire la fase primordiale dell’universo in cui hanno avuto origine».
«I segnali di clock che stiamo cercando sono sottili strutture oscillatorie che dovrebbero manifestarsi nelle misurazioni della radiazione cosmica di fondo», dice uno degli autori, Yi Wang della Hong Kong University of Science and Technology. «Ogni scenario di universo primordiale prevede un modello unico di segnale».
I dati raccolti finora, secondo gli autori, non sono sufficientemente accurati per potere individuare tali piccole variazioni. Tuttavia è plausibile che entro il prossimo decennio tutta una serie di esperimenti in corso o in via di realizzazione permetteranno di valutare la fondatezza della nuova ipotesi.
Inoltre, siccome gli orologi primordiali standard sarebbero un componente della “teoria del tutto“, trovarli aiuterebbe a fornire supporto per la fisica oltre il Modello Standard ad un scala di energie inaccessibile per gli acceleratori terrestri.
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini