Una delle critiche che vengono più spesso rivolte ad incontri come il G8 è che questi si trattino fondamentalmente di una grande vetrina per dare risonanza a grosse promesse e progetti a cui però spesso, in seguito, vengono a mancare le azioni per metterli in pratica.
Commercio Libero
Nell’ultimo G8, svoltosi una settimana fa in Irlanda del Nord, un progetto più di altri sembrerebbe più plausibilmente candidato ad essere portato veramente a termine. Stiamo parlando dell’area di libero scambio tra UE e USA. Riteniamo che sia il più papabile, perché sulla carta porterebbe vantaggi a tutte le parti in causa, per la congiuntura economica attuale e perché nella storia recente ogni progetto tendente ad allargare l’area di scambio, a rimuovere barriere e a favorire il commercio a livello globale è sempre stato portato a compimento, sia per le volontà politiche che per quelle economiche.
Inoltre le aree di libero scambio non sono certo una novità nello scenario mondiale. L’esempio più vicino a noi naturalmente è l’UE stessa, che prima della sua unione monetaria si caratterizzava per la liberalizzazione del commercio e l’abbattimento delle dogane e dei confini per merci e persone. Oltre all’UE molti altre aree di libero scambio si sono formate in tutto il mondo tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90, come ad esempio il MERCOSUR in Sud America. Il progetto in questione però ha un precedente, ispirato anch’esso sul modello dell’UE, che per dimensioni e caratteristiche assomiglia di più a quello descritto all’ultimo G8. Si tratta del NAFTA.
Il NAFTA, North American Free Trade Agreement, è un accordo di libero scambio entrato in vigore il primo gennaio del 1994, siglato dai governi degli USA, del Canada e del Messico e forma la seconda area di libero scambio più grossa al mondo, dietro l’UE. Questo trattato consiste in un’intesa che mira a liberalizzare, all’interno dei Paesi membri, esclusivamente la circolazione di beni e servizi, conservando l’autonomia dei singoli Paesi per quanto riguarda i regimi tariffari e i rapporti con i Paesi terzi. L’UE, per contro, ha stabilito delle comuni tariffe esterne e ha liberalizzato anche la circolazione delle persone.
L’accordo non è nato senza difficoltà e timori iniziali. Gli oppositori canadesi e messicani, prima della di ratificare il trattato, hanno espresso le loro preoccupazioni relative al rafforzamento dell’egemonia statunitense nell’area nordamericana, sia in campo culturale che economico, e alla conseguente minaccia che ne sarebbe derivata per la sovranità nazionale dei loro Paesi. Inoltre destavano preoccupazione i notevoli vantaggi competitivi di cui godevano gli Stati Unitinella produzione di una vasta gamma di beni, chespesso hanno costretto in passato i governi canadese e messicano a ricorrereall’adozione di apposite tariffe per rendere i prodotti nazionali competitivirispetto a quelli statunitensi.
Le preoccupazioni attuali di molti riguardo la creazione di un area di libero scambio tra UE e USA, non sono molto differenti e si sono già palesate con la questione del ”Eccezione culturale” posta dalla Francia. A supporto di questa convinzione è uscito pochi giorni prima del G8 uno studio dell’Ifo, uno dei maggiori Istituti economici della Germania, presentato dalla prestigiosa Bertelsmann Stiftung, una delle più importanti fondazioni tedesche. A differenza della maggior parte dei commentatori, che sottolineano in maniera entusiastica i benefici che entrambe le sponde dell’Atlantico riceverebbero dal trattato, lo studio sottolinea come in realtà la bilancia dei vantaggi peserebbe maggiormente a favore di Washington. Se l’accordo superasse la mera abolizione dei dazi e portasse quindi ad una completa liberalizzazione degli scambi, gli USA guadagnerebbero un aumento del Pil del +13,4%, mentre l’UE vedrebbe questo aumento fermarsi al +5%. Da segnalare come i risultati migliori all’interno dell’UE li registrerebbero quei Paesi che non hanno adottato l’euro, la Gran Bretagna in testa con il +9,70% seguita dalla Svezia con il +7,30%. I Paesi membri della zona euro invece seguono staccati più indietro con i risultati migliori registrati dalla Spagna (+6,55%) e l’Italia (+4,92%), con la Germania poco dietro (+4,7%) e con la Francia come fanalino di coda con il +2,6%. In termini di posti di lavoro la maggior diminuzione della disoccupazione si registrerebbe in Gran Bretagna con un calo dell’1,27%, l’Italia godrebbe di un calo dello 0,57% mentre per Paesi con una forte emorragia occupazionale, come la Spagna, la riduzione si limiterebbe allo 0,62%. Gli Stati Uniti si dovrebbero accontentare di un miglioramento dello 0,72%.
Già al di sotto degli annunci trionfalistici dei sostenitori del trattato, questi dati, bisogna ricordare, sono estremamente rosei, in quanto molto probabilmente l’accordo si limiterà all’abolizione dei dazi e tutte le cifre e le percentuali saranno ulteriormente riviste verso il basso. L’UE in questo momento non ha una posizione forte, è in piena crisi economica con livelli di disoccupazione mai visti prima ed è ancora saldamente legata all’economia americana. Non sarebbe quindi una sorpresa, se ratificasse un trattato che garantisca maggiori vantaggi per gli Stati Uniti pur di ricavarne qualche beneficio, ma sarebbe un grosso rischio se l’UE, a fronte di una grossa maggiore concorrenza delle imprese americane su quelle europee, data la loro maggior flessibilità del mercato del lavoro, per garantire la propria competitività, seguisse l’esempio americano nelle famose “riforme necessarie”, andando a smantellare ulteriormente lo stato sociale dei vari Paesi europei.