Nuovo studio: l’Oms diffonde l’AIDS in Africa con un contraccettivo

Creato il 09 ottobre 2011 da Uccronline

Il contraccettivo ormonale più diffuso in Africa, il “Depo Provera”, creato nel 1969 e autorizzato negli Stati Uniti solo dal 1992, utilizzato massicciamente in Africa per la pervicace volontà dell’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità, raddoppia il rischio di contrarre l’Aids sia da parte di donne sane che hanno rapporti con uomini infetti, sia da parte di uomini che hanno rapporti con donne infette che stanno facendo uso del Depo Provera.

Lo ha scoperto, come riportano i quotidiani internazionali, un nuovo studio di alto livello, condotto dai ricercatori della University of Washington su 3.800 coppie in Botswana, Kenya, Ruanda, Sudafrica, Tanzania, Uganda e Zambia e appena pubblicato su “Lancet Infectious Diseases”. Finalmente anche i responsabili dell’OMS ne hanno voluto prendere atto, come si desume dalle dichiarazioni di Mary Lyn Gaffield: «Abbiamo intenzione di rivalutare le raccomandazioni cliniche dell’Oms sull’uso dei contraccettivi».

Il settimanale Tempi informa che il Depo Provera è stato lo strumento di politiche sanitarie fondate sul pregiudizio razziale: destinato a donne analfabete e ignoranti, incapaci di rispettare la posologia e i tempi di assunzione dei normali anticoncezionali ormonali. Associazioni per i diritti delle donne e dei consumatori hanno ripetutamente accusato la casa di produzione Pfizer e i servizi sanitari di vari paesi per casi di coercizione e di mancanza del consenso informato. Anche le prime sperimentazioni del farmaco sono state condotte con donne povere e analfabete nei Paesi in via di sviluppo, e negli Stati Uniti risulta somministrato quasi esclusivamente a donne disagiate, di colore, semianalfabete o addirittura ritardate mentali non sessualmente attive, come precauzione per evitare gravidanze conseguenza di abusi. Inoltre, uno studio condotto in Italia, ha dimostrato che il 40% di giovani donne che utilizza il contraccettivo presentava una densità ossea inferiore alla media. Finalmente nel 2004 la multinazionale Pfizer ha inserito nelle confezioni un “black box warning”, una messa in guardia rafforzata sugli effetti collaterali dell’uso del medicinale, che l’ha messa al riparo da nuove cause giudiziarie.

Tuttavia l’OMS ha continuato imperterrita a diffondere nei Paesi in via di sviluppo, principalmente nell’Africa sub-sahariana, il contraccettivo. Eppure il legame con la diffusione dell’AIDS risale ad uno studio nel 2004, opera del National Institutes of Health, mentre già nel 1996 era stata evidenziata l’associazione fra applicazione del farmaco e incremento dell’Aids nelle scimmie. Negli anni ’90 invece, l’UNFPA (l’ente dell’ONU per il controllo demografico, recentemente accusato di avere anche promosso l’aborto selettivo in India), metteva a disposizione 20 milioni di dosi di Depo Provera all’anno, inviandone massicce unità nei Paesi africani, più che in qualunque altra parte del mondo.

Non è la prima volta che si dimostra come la lotta all’Aids e il controllo delle nascite in Africa siano difficilmente integrabili. Come riporta Avvenire, uno studio recente sulla prevenzione dell’AIDS in Zimbabwe, pubblicato sulla rivista “Plos Medicine”, aveva confermato le tanto discusse parole di Benedetto XVI: il preservativo non è la soluzione dei mali dell’Africa. Gli stessi ricercatori di Harvard, come Daniel Halperin, hanno preso posizione: per combattere l’Aids serve l’educazione, non tanto il preservativo. E’ stato poi più volte dimostrato attraverso studi peer-review che l’Aids si combatte in modo vincente con l’educazione sessuale ad un comportamento responsabile e alla fedeltà di coppia, i quali devono prevalere ai rimedi esclusivamente tecnici. Matthew Hanley, ricercatore in Sanità Pubblica alla Emory University di Atlanta (USA), con diretta esperienza sul campo in diversi paesi africani, ha ad esempio pubblicato per l’American Public Health una relazione in cui ha quantificato il numero di infezioni che avrebbero potuto essere evitate in Africa se si fossero attuate politiche per promuovere l’astinenza e la fedeltà, piuttosto che attuare politiche per la distribuzione di massa di preservativi. L’Uganda è l’unico Paese in cui si è riusciti a ridurre del 10% il numero di persone infette, seguendo un programma basato su “fedeltà” e “castita” e senza una distribuzione diffusa del condom. Un altro studio, svolto dalla United States Agency for International Development, ha preso in esame le variabili associate all’incidenza dell’Hiv in Benin, Camerun, Kenya e Zambia: gli unici fattori associati a una minore incidenza dell’Hiv sono il minor numero di partner (fedeltà), un debutto sessuale meno precoce (astinenza) e la circoncisione maschile. Non rientrano, invece, tra i fattori lo status socio-economico e l’uso del preservativo. In Sudafrica invece, essendosi concentrati soprattutto sulla promozione massiccia del preservativo, si è verificato un aumento della dffusione dei rapporti multipli, mantenendo i tassi di infezione a un livello di “incidenza allarmante”.

Edward Green, direttore (agnostico) dell’AIDS Prevention Research Project della Harvard School of Public Health and Center for Population and Development Studies, ha dichiarato: «Diffondevo contraccentivi in Africa. Oggi dico che solo la fedeltà coniugale batterà l’Aids». E ancora: «il Papa ha davvero ragione. Le prove che abbiamo dimostrano che, in Africa, i preservativi non funzionano come intervento per ridurre il tasso di infezione da HIV. Quello che si riscontra in realtà è una relazione tra un più largo uso di preservativi e un maggiore tasso di infezione [...]. Chi usa i preservativi è convinto che siano più efficaci di quanto realmente sono, finendo così per assumere maggiori rischi sessuali [...]. Una conseguenza dell’incremento nell’uso dei preservativi può essere anche un aumento del sesso occasionale [...]. Si è cominciato a notare qualche anno fa che, in Africa, i paesi con maggiore disponibilità di preservativi e tassi superiori di loro utilizzo avevano anche il più alto tasso di infezione da HIV».


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