Magazine Storia e Filosofia
La casa dei padroni (?)
di Aldo Casu
Come preannunciato nel mio articolo intitolato “Il sistema nuragico di Frea, l’antica e vasta area sacra” pubblicato il 16 novembre scorso, ecco qui un articolo interamente dedicato al “Cùccur’’e Nuràx’’i Àgusu”, che è in agro di San Basilio ma è di proprietà di abitanti di Sant’Andrea Frius ed è, come si è visto, uno dei siti più importanti del sistema suddetto.
È una piccola collina isolata che si eleva a 283 m. slm e 59 m. sui terreni circostanti e che ha fatto fantasticare generazioni di giovani e di meno giovani per la sua forma strana, per le leggende che si sono tramandate su di essa e per il suo nome che non lascia dubbi sul fatto che su di essa sia esistito un nuraghe di cui, ancora oggi, si possono osservare i resti.
Gli archeologi che hanno fatto il Censimento Archeologico Comunale lo descrivono così: “… Il monumento occupa la sommità di una collina conica che si staglia in una fertile regione morbidamente ondulata. Lo stato di distruzione e la presenza di uno spesso strato erboso non permettono di rilevare l’esatto sviluppo planimetrico del nuraghe, che si configura comunque come una struttura complessa. Emergono, a sud, poche tracce consistenti in un unico filare di blocchi sub squadrati di medie dimensioni che descrivono un arco di cerchio di circa 6 m. di corda. Ad ovest/sud-ovest si congiunge a questo corpo principale un tratto di muratura a doppio filare di andamento rettilineo che si segue per circa m. 3. A sud emergono per circa 7 m. di lunghezza, alcuni blocchi disposti ad andamento circolare (…) probabili resti di una torre secondaria addossata a quella principale. Una decina di metri sempre a sud si individuano i presumibili resti di un’opera di terrazzamento artificiale (antemurale ?)…” e poi ancora “… Il nuraghe domina a 360 gradi tutto il territorio circostante, dalle alture di Pranu Sanguni ad est, a tutta la conca della Trexenta e anche oltre a ovest (…) situato lungo un’antica via di comunicazione che, passando per la Trexenta, collegava il Gerrei con la zona metallifera di Gadoni…”. (2)
Effettivamente, come osservato nell’articolo suddetto, questo sito si trova lungo quella che dagli anziani era indicata come “sa ì’’e Màndasa” (la strada per Mandas) e, cioè, lungo quella che il Barreca (2) ha indicato come la grande via punica (ma sicuramente molto più antica) che da Cagliari andava a Sant’Andrea Frius - Mandas - Isili con a Sant’Andrea Frius la diramazione per San Nicolò Gerrei – Ballao.
Inoltre, se si considera la collina nella sua totalità, si possono osservare dei particolari utili ad una migliore comprensione della costruzione nuragica esistente sulla sua sommità.
Osservando l’altura da nord-ovest (vedi foto 1) si individuano diversi livelli (vedi foto 2) che si riconoscono benissimo anche nella veduta aerea del colle (vedi foto 3) dai quali si constata che il nuraghe poggia su un affioramento di calcare che si ritrova su tutti i lati della collina. Scalandola da sud, al limite dei terreni coltivati, si incontrano resti di opere murarie di contenimento (vedi foto 4 e 5) e, poco più in alto tutt’intorno (vedi foto 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12) si nota l’affioramento calcareo che corrisponde al livello 0 (vedi foto 3).
Come si può notare osservando la foto aerea del colle, che è naturale solo fino a questi affioramenti che si sono indicati come “livello 0”, (vedi foto 3) a nord-ovest, a nord, a nord-est e a sud-est, tra la vegetazione si riconoscono i resti di muri, solo in parte crollati (vedi rispettivamente foto 13, 14, 15, 16 e 17) che, dalla foto aerea, risultano avere uno sviluppo rettilineo e che, nell’insieme, formano una figura poligonale incompleta a causa del fatto che a sud-est, a sud e a sud-ovest il crollo, o la distruzione dei muri è stata tale da lasciare solo un’estesa dispersione di pietrame difficile da leggere.
Nella stessa foto aerea, però, nello stesso livello 0, si osservano alcuni particolari (vedi foto 3, punti A, B e C) che potrebbero essere i resti di altrettante torri crollate o demolite.
Continuando a salire verso la vetta della collina, si arriva a quello che si può indicare come “livello 1” e che, al contrario di quanto osservato sul “livello 0”, pare essere circolare (vedi sempre la foto 3).
Da questo punto in poi si incontrano solo grossi massi sparsi un po’ dappertutto (vedi foto 18 e 19) fino alla sommità, passando per il “livello 2” (che sul terreno quasi non si nota), per arrivare alla cima del colle dove, tra l’erba e il piccolo pietrame sparso, è facile individuare dei massi disposti in circolo (vedi foto 20, 21, 22 e 23) che sono sicuramente i resti della torre centrale.
Nonostante tutte queste osservazioni, però, si può affermare con certezza solo che il nostro “cùccur’’e Nuràx’’i Àgusu “ non è una collina naturale, che l’ultimo terzo, circa, della sua altezza nasconde i resti di una costruzione nuragica polilobata, probabilmente meglio conservata di quanto può sembrare a prima vista, e che, se un giorno si dovesse riportare alla luce questo monumento, con molta probabilità si troverebbero delle sorprese notevoli. Questa mia certezza del tutto personale si basa su diversi elementi:
• Il primo è la sorprendente somiglianza della sky-line di questo colle con quella del Nuraghe di Barumini prima degli scavi (vedi foto 23 e 24);
• Il secondo elemento sono due leggende che si sono tramandate su questo sito e che, se è vero che ogni leggenda è sempre la trasposizione di una realtà storica, forniscono interessanti informazioni sul sito e sui suoi abitanti.
La prima di queste leggende è quella de “Sa mùsca macèdda ” (letteralmente: “la mosca che uccide”) per sfuggire alla quale la gente non aveva altra possibilità che nascondersi sotto terra. Questa leggenda è diffusa in tutta l’isola, ma sempre riferita a siti nuragici di particolare importanza e in quest’area si è tramandata solo ed esclusivamente per il “Nuràx’’i Àgusu ” e sicuramente non a caso.
In pratica è una metafora che ci racconta che, in quei tempi lontani, quando incombeva un grave pericolo, fosse l’invasione di popoli giunti dal mare o l’attacco di tribù ostili, la gente si rifugiava nel luogo più sicuro qual era un grande e possente nuraghe.
La seconda leggenda, invece, raccontando che nel “Nuràx’’i Àgusu” vi era un “trabàx’’i òru “ (letteralmente “un telaio d’oro”), ci informa della grande ricchezza di chi abitava in quel nuraghe: a quel tempo era considerato già ricco chi possedeva un semplice telaio di legno e canne, possederne uno tutto d’oro significava essere infinitamente ricco e potente.
• Il terzo elemento è diviso in due parti: una terza leggenda e l’etimologia del termine “Àgus”.
La leggenda racconta di un grande re, non sardo, che venne sepolto lungo il “Rio Bascùri “ con tutte le sue armi, ma che la sua tomba non venne mai trovata.
In effetti lungo il fiume indicato dalla leggenda, fiume che nasce in località “ Plànu Sangùni” col nome di “rio Piràstu “, non si individua nessuna traccia di una qualsiasi struttura che possa far pensare alla sepoltura di un personaggio regale.
Ma seguendo più a valle questo fiume, poco distante dal punto in cui esso, con un’ansa, modifica la direzione del suo corso da est verso ovest a da nord verso sud-ovest e prende il nome di “Rio Cìrras “, sulla riva sinistra si trova il colle del “Nuràx’’i Àgusu” che, come osservato, ha una struttura complessa e, tenuto conto della precedentemente citata leggenda del “telaio d’oro”, si presenta come il sito più probabile in cui quel “grande re” non sardo fu sepolto.
Questa ipotesi è ulteriormente sostenuta e, se vogliamo, confermata dal significato etimologico del termine “Àgusu“ ma prima di esporlo è necessario fare qualche precisazione sul metodo utilizzato nello studio della toponomastica locale.
Non avendo personalmente nessuna preparazione linguistica e non essendo a conoscenza di nessuna pubblicazione sull’argomento, confrontando circa 800 termini attuali della variante locale del sardo con i corrispettivi latini, spagnoli e italiani, ho individuato 114 fenomeni metaplasmatici di cui 53 sono alterazioni formali e 61 alterazioni fonetiche.
In sintesi: le alterazioni formali sono quelle che si verificano con la caduta, l’aggiunta o lo spostamento di un fonema nella parola; le alterazioni fonetiche, invece, sono quelle in cui determinati fonemi, nel passaggio dalle altre lingue al sardo friasino, si trasformano in fonemi diversi che hanno, cioè, una diversa articolazione.
Risparmio ai lettori la noiosa esemplificazione di questi fenomeni linguistici e mi limito ad osservare che dalla loro analisi emerge chiaramente l’esistenza di un “filtro fonetico”,
retaggio atavico della lingua o delle lingue sarde preromane, passando attraverso il quale le parole delle altre lingue vengono modificate seguendo regole precise e costanti, e che i Sardi antichi avevano un parco fonetico diverso da quello delle lingue, latina, spagnola e italiana.
Utilizzando al contrario queste alterazioni (tenendo conto anche della cosiddetta “etimologia popolare”) sono risalito all’origine e al significato di 108 toponimi locali e la validità del metodo usato è confermata dal fatto che queste etimologie, con mia grande sorpresa, formano dei quadri storici verosimili, molto interessanti e soprattutto inediti.
Uno dei fenomeni individuati è la trasformazione della A in U, specie in finale di parola, che si osserva verificatosi rispetto sia al latino che allo spagnolo e all’italiano, e p. e. nel termine “Frius” (alterazione di “Frias”), nel toponimo “Cùccur’’e Fórru” (alterazione di “Cùccur’’e fòrra”) e nel nome del nuraghe “Pédru niéddu” (alterazione di “Pèdra nièdda”).
Tornando al nostro colle e al nome del nuraghe le cui tracce si osservano sulla sua vetta, se ipotizziamo che questa alterazione si sia verificata anche in “Àgusu” (paragoge di “Àgus “, plurale di “Àgu “) si ottiene il termine “Aga” (o “Agha”) che significa letteralmente “principe”, “padrone” e, di conseguenza, il significato del nome “Nuràx’’i Àgusu” dovrebbe essere “il nuraghe degli Aga” e, cioè, il nuraghe “dei re” o “dei principi” o “dei padroni”.
“Aga”, però, è un termine originario dell’Anatolia, l’odierna Turchia: come è giunto fin qua e perché si è tramandato per millenni?
La risposta si trova in un documento (in verità poco attendibile) datato 20 luglio 1761(3) dal quale si apprende che il nome latino di “Frius” fino all’ultimo ripopolamento, avvenuto nel 1699, era “Frigos” e, cioè, “Frigi”.
Il popolo frigio, originario della Macedonia, per lungo tempo visse nelle isole greche come alleato degli Achei che affiancò, p.e., nella conquista di Creta (1450 a.C.)(4), fece parte della migrazione dei popoli del mare(5) e solo dopo il crollo delle ultime dinastie Achee nel XII sec. a.C., si stabilì nel centro della penisola anatolica presso il fiume “Sakarya”. I Frigi parlavano una lingua indoeuropea, inizialmente forgiati dalla cultura Achea, furono influenzati dagli Hittiti e dagli Hurriti (da questi ultimi, tra l’altro, appresero l’arte di estrarre e di lavorare i metalli) e veneravano la dea Cibele (Dea Madre Terra della fecondità) futura Artemide tramite i culti praticati nella città di “Sardi”. Il loro regno, che dopo la caduta dell’impero Hittita arrivò ad occupare quasi tutta l’Anatolia, nel 695 a.C. cadde sotto i colpi dei barbari Cimmeri e ai Frigi rimase solo la valle del fiume “Sakarya”.(6)
Nello stesso VII sec. a.C. in Sardegna le città costiere fenicie iniziarono un movimento di espansione verso l’interno(7) e poiché quelle città erano già allora multietniche, non è improbabile che in qualcuna di esse vi fosse anche qualche gruppo di Frigi allontanatisi dalla loro terra per sfuggire all’invasione dei Cimmeri e che qualche loro colonia si sia stabilita proprio in quest’area dove, grazie alla loro esperienza nell’estrazione e nella lavorazione dei metalli (non bisogna dimenticare che nel VII secolo a.C. in Sardegna si era in quella che G. Lilliu ha definito “Età delle Aristocrazie” che dovevano la loro importanza al possesso e alla capacità di sfruttamento dei giacimenti metalliferi) in breve tempo riuscirono a conquistare il potere su tutto questo
territorio sì da meritarsi il titolo di “principi” e di “padroni”.
La suddetta leggenda del “telaio d’oro”, oltre ad essere una metafora della grande ricchezza di chi abitava nel “Nuràx’’i Àgusu ”, può darsi anche che nasconda un riferimento subliminale all’enorme ricchezza de mitico “re Mida” il cui tumulo aveva l’aspetto di una collina innaturale, proprio come il nostro “cùccuru”, e il cui palazzo reale fortificato dell’VIII sec. a.C. aveva uno schema difensivo a tre livelli!(8).
La leggenda de “sa mùsca macèdda”, invece, è probabile che nasconda un riferimento ad un’altra migrazione nell’isola, molto più antica, cui questa dei Frigi somiglia molto, e cioè quella guidata da “Iolao” che Diodoro Siculo, storiografo del I sec. a.C., ha così raccontato: “… (gli “Iolaei)… si costruirono delle abitazioni sotterranee e, svolgendo il loro modo di vita nei cunicoli, evitarono il pericolo della guerra…”.(9)
Anche V. Angius, nel “Dizionario geografico storico (…)” del Casalis, ha scritto: “… Questo paese era compreso nell’antica Iolea, dove i Pelasgi di Iolao si stabilivano usurpando le terre agli indigeni…”.(10)
In effetti, se è vero che in questo territorio non si sono trovate tombe molto antiche, è altrettanto vero che sono numerose le notizie che si hanno dell’esistenza in esso di ipogei e di cunicoli, dove la gente viveva, e che, tenuto conto della natura del territorio, caratterizzato dalla presenza di estesi affioramenti calcarei del Miocene, e di alcuni particolari in essi osservabili, l’esistenza di cavità sotterranee naturali e/o artificiali è quasi certa così come è molto probabile che siano state utilizzate per seppellirvi i morti per molti secoli. Ma questo è un altro argomento che merita di essere approfondito a parte.
Tornando al nostro colle e alla presenza in quest’area di una colonia di Frigi, C. Bellieni (11), sostiene che il secondo termine del nome della località di “Plànu Sànguni” derivi dal nome latino “Sangarius” del fiume frigio “Sakarya” ed è probabile che l’antica miniera di piombo, zinco e ferro oligisto, che il Lamarmora (12) sostiene essere esistita in quell’area, sia stata scavata proprio dai Frigi.
Un’altra mia del tutto personale convinzione è che il “Nuràx’’i Àgusu”, così come descritto, si sviluppi quanto in altezza, altrettanto se non di più, in profondità.
Purtroppo, però, perché tutte queste ipotesi, teorie e convinzioni personali trovino conferma o vengano smentite, bisogna aspettare che qualcuno si decida a scavare: per iniziare basterebbe anche soltanto ripulire il nuraghe dall’erba e dalla vegetazione.
______________________________
1) R. RELLI (a cura di): “Sant’Andrea Frius, dal Neolitico alla Rifondazione” , Nuove Grafiche - Ortacesus 2006, cit. scheda 16.1, pagg. 222 e 223.
2 ) F. Barreca: “La Sardegna fenicia e punica”, 1979, pag. 85.
3 ) Segreteria di Stato, II Sezione, fascicolo 1504, pagg. 205 e segg.
4 ) http://www.latlantide.it/storia/frigi.html.
5 ) http://www.spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/asia-Minore/frigia.html.
6 ) Vedi nota 4.
7 ) Vedi nota 2, cit. pag 46.
8 ) Vedi nota 4.
9) Diodoro Siculo: “Biblioteca Historica” – vol. 15, traduzione tratta da: M.Perra, “La Sardegna nelle fonti classiche”, Editrice S’Alvure, Oristano 1993.
10) Forse è questa la causa primaria della costruzione del “Sistema nuragico di Frea” (vedi mio articolo del 16.11.2012) e, forse, quegli “adoratori di pale”, di cui si è detto che vivevano all’interno dell’enclave, erano gli “Iolaei”,mentre gli “adoratori di menhirs” che vivevano nelle montagne, al di fuori dell’enclave, erano sicuramente gli indigeni.
11) In “La Sardegna e i Sardi”, 1931.
12) In “Itinerario di viaggio in Sardegna”, 1815.
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