Abbiamo speso un pomeriggio in compagnia di Oculus Rift e VIVE
Corsa ai 120Hz, 3D Vision, G-Sync. Oltre alla strada dell'evoluzione grafica, e della progressiva potenza ed efficienza delle schede video tramite cui percorrerla, Nvidia ha battuto anche altri sentieri, dimostrandosi "sensibile" e all'avanguardia in aspetti volti a migliorare l'esperienza di gioco o suggerirle nuove prospettive.
Ambiti in qualche modo imparentati e anticipatori di alcune delle questioni tecniche che quella che probabilmente è la più grossa svolta del settore dell'intrattenimento elettronico (e non solo), la realtà virtuale, ha posto a ricercatori, progettisti e sviluppatori nel lungo e tortuoso tragitto che sta portando alla concretizzazione di una delle più agognate fantasie dell'uomo moderno. Come sappiamo, Oculus Rift, PlayStation VR e HTC Vive verranno lanciati nel futuro più o meno prossimo sul mercato, dando il là alle danze. Un ballo a cui Nvidia, forte della collaborazione con i costruttori di dispositivi dedicati, delle partnership sempre più salde con i realizzatori di motori grafici e gli autori contenuti ludici e, non ultima, della sua proposta hardware, presenzierà con puntualità e da protagonista, fornendo corpo, anima e know-how al settore. Un sogno che, grazie a un recente evento organizzato dalla casa di Santa Clara, abbiamo potuto non solo accarezzare e vivere per qualche istante tramite una corposa prova sul campo di alcune postazioni Oculus Rift e HTC Vive configurate con tutti i crismi e i comfort del caso, ma di cui abbiamo avuto anche una migliore comprensione, scoprendo le modalità con cui si appresta a diventare realtà (virtuale).twittalo! Ci siamo immersi nelle profondità della realtà virtuale secondo Nvidia
Potenza e controllo
Com'è noto, la realtà virtuale alza decisamente l'asticella in termini di sfide e standard da soddisfare, tanto sul fronte del design che su quello prettamente funzionale. Costruire mondi virtuali che risultino solidi e credibili e fare in modo che ci si possa interfacciare con essi nella maniera più naturale possibile, senza elementi di disturbo che potrebbero inficiare a diversi livelli la fruizione, fino anche a provocare malori, è un'impresa che pone nuovi impegnativi traguardi. Fluidità, stabilità dell'immagine, abbattimento delle latenze, riduzione di ghosting, blur e altri tipi di artefatti sono solo alcuni degli obiettivi della massima priorità quando si parla di realtà virtuale. Le caratteristiche dei visori sono importanti e la versione consumer di Oculus Rift e il sample più recente di HTC Vive che abbiamo provato, dimostrano che si è raggiunta un'adeguata maturità su quel fronte (sebbene con alcune sbavature), ma rappresentano soltanto la finestra (o, meglio, la porta di ingresso) verso questi universi, che va supportata con un'architettura alla base adeguatamente robusta e progettata armonicamente. Servono innanzitutto performance. E parecchie, inutile girarci attorno.
Si stima che mediamente su PC si gioca a 1920x1080 pixel e 30 fotogrammi al secondo, per un output di circa 60 megapixel al secondo. La realtà virtuale richiede di renderizzare allo stesso tempo due immagini distinte, ciascuna a 1680x1512, 90 volte al secondo. Facendo due calcoli sono più di 450 megapixel al secondo, ovvero sette volte tanto la potenza. Non per nulla, la stessa Oculus VR raccomanda una GTX 970 e sappiamo tutti che verosimilmente si rivelerà una semplice soluzione di ingresso, a cui sarebbe preferibile una 980 o, meglio ancora, una 980Ti o una configurazione multi-GPU. Non è però solo una questione di cavalli, ma anche di architettura e di software a supporto. Nvidia ha messo a punto una suite chiamata GameWorks VR, grazie a cui semplificare la vita a tutti, dai costruttori di visori agli sviluppatori, con qualche beneficio anche per gli utenti finali. Si tratta di un SDK che annovera cinque caratteristiche sviluppate specificatamente. Il Multi-Resolution Shading sfrutta un problema implicito della VR: le immagini trasmesse non sono dei piani perfetti, come quando vanno visualizzate su un monitor o una TV, ma si devono adeguare all'ottica dei visori, che le distorcono, "arrotondandole". Solitamente, si genera di nuovo la stessa immagine, calcolando al 100% anche i dettagli delle zone periferiche che andranno in realtà persi. Appoggiandosi alla Multi-Projection Acceleration integrata nell'hardware delle GeForce Serie 900 e Titan X, il Mult-Res Shading elimina grossa parte di questi sprechi, permettendo di risparmiare tra il 25% e il 50% del calcolo di pixel per scena. VR SLI, semplificando, permette di deputare una scheda grafica alla generazione dell'immagine per l'occhio destro e l'altra a quella per l'occhio sinistro. Entrano in gioco anche altri fattori rispetto al tradizionale funzionamento dello SLI, che permettono di spremere maggiori performance e soprattutto di abbattere il più possibile la latenza con cui le immagini vengono processate. Context Priority permette di ridurre il lag aggiornando l'immagine sulla base della posizione più recente della testa in maniera più versatile (asincrona, per essere precisi) rispetto a quanto Oculus SDK faccia in via ordinaria. Il Direct Mode è volto ad assicurare un'esperienza utente il più possibile indolore e plug'n play, facendo riconoscere al sistema un visore come tale e non come un nuovo schermo, come farebbe Windows di default. Oltre ad evitare parecchi disagi di ordine pratico, questa caratteristica fornisce il presupposto per poter impiegare la quinta introduzione di GameWorks VR, il Front Buffer Rendering, tramite cui mirare a un'ulteriore riduzione della latenza, intervenendo direttamente sulle informazioni visive inviate al dispositivo di realtà virtuale, subito dopo essere state "deformate". Per darci un riferimento di sintesi concreto, Nvidia ci ha riferito che grazie ai suoi strumenti in ambiente VR l'Unreal Engine 4 guadagna fino al 50% di prestazioni. Completa l'ecosistema messo a punto dalla casa di Santa Clara il software destinato all'utente, che ancora una volta farà capo a GeForce Experience e che prevede pieno supporto di Shadowplay per catturare o fare streaming di titoli VR e, verosimilmente, aggiornerà con puntualità il suo database di impostazioni ottimali.Dentro i giochi
Provare uno di seguito all'altro Oculus Rift e HTC Vive ci ha fatto realizzare quanto in realtà non si tratti di due esperienze VR così sovrapponibili. Abbiamo avvicinato Oculus comodamente sprofondati su una poltrona, di fronte a una TV, in un tipico scenario da salotto. Il modello testato è quello definitivo, come quello che verrà recapitato a partire dal 28 marzo a chi ha effettuato il pre-ordine. Il caschetto si presenta più rifinito e leggero rispetto alle precedenti incarnazioni. Passi in avanti anche in termini prestazionali, con un'immagine più stabile e pulita (praticamente assenti la difficoltà a leggere del testo in-game, che in passato poteva presentarsi sbavato), sebbene provando a farci caso sia ancora possibile notare piuttosto chiaramente l'effetto "screen door", la retinatura generata dagli spazi tra i pixel del pannello.
Tra i titoli provati, Chronos, una sorta di Souls-like all'acqua di rose che ci ha fatto capire quanto la VR possa aggiungere a questo tipo di esperienze in termini di impatto e visceralità, ma al contempo anche togliere qualcosa, visto che la regia è sostanzialmente automatica e la progressione scandita da una serie di stanzoni inquadrati in maniera predeterminata, in cui ci si può guardare attorno ma solo per "curiosare", senza cioè poter intervenire sulle rotazioni di camera in relazione allo spostamento del personaggio come si farebbe in maniera classica, con uno stick destro. Un limite che si è percepito maggiormente, fino a provocarci autentico fastidio, in Edge of Nowhere, gioco d'avventura che per setting e atmosfera ricorda La Cosa, firmato da Insomianc Games, che in svariati passaggi si è rivelato estremamente spettacolare e coinvolgente, arrivando a strapparci anche dei veri e propri "wow" di stupore per alcune soluzioni scenografiche che riescono a far percepire la realtà virtuale come qualcosa di nuovo, di fresco, anche in contesti arcinoti. Il problema è che in più di un'occasione la regia segue traiettorie particolari, come in un Resident Evil classico ma a scorrimento, imponendo magari di procedere verso destra piuttosto che in una direzione obliqua, accentuando il disagio provocato dal non poter concretamente intervenire sulla rotazione della telecamera, che provoca uno scollamento percettivo decisamente forte. Percezioni perfettamente a loro agio invece in EVE: Valkyrie, che come Elite: Dangerous e altre simulazioni spaziali offre una delle applicazioni più ovvie, spontanee e convincenti di Oculus VR. Sorpresi invece per il modo con cui ci siamo trovati a nostro agio nel gestire con i movimenti della testa la mira in Damaged Core, titolo nel complesso modesto in cui si interpreta un cecchino, e soprattutto in Esper, puzzle game in cui bisogna affrontare una serie di test che richiedono di sfruttare la telecinesi per spostare oggetti, sorretto da un delizioso tono alla The Stanley Parable. La sensazione di fare per davvero il nostro ingresso nella realtà virtuale, tuttavia, l'abbiamo avuta solo una volta infilatoci in testa HTC Vive. Il fatto di dover calzare una cuffia a parte e i tre grossi cavi che partono dal caschetto, a rischio calpestamento, lo rendono un dispositivo meno pratico ed ergonomico di Oculus, ma che guadagna terreno una volta indossato, con un'immagine più brillante, vivida e definita, sebbene anch'essa interessata da problemi di "screen door", per quanto meno marcati. È il campo di applicazione, tuttavia, a fare realmente la differenza. Impugnati i due controller dedicati, che si sono rivelati leggeri, precisi e dall'ottimo feedback tattile, Vive ci ha offerto un'esperienza più naturale e pervasiva già per effetto del semplice fatto che nella realtà virtuale potevamo usare anche le nostre mani, assecondando l'istinto di toccare, spingere, urtare, accarezzare e interagire in altro modo con le cose che avevamo attorno. Un impulso che con Oculus ci siamo sorpresi a reprimere a più riprese, per via del fatto che usavamo un classico joypad Xbox One. Si tratta, beninteso, di una differenza destinata a sparire o quantomeno a colmarsi in qualche misura, visto che nella seconda metà dell'anno verrà lanciato Oculus Touch, coppia di controller che assolveranno a funzioni simili, e a cui potrà far fronte anche PlayStation VR, grazie all'abbinamento coi Move. Tuttavia, Vive ha un altro asso nella manica, che rimarrà sua prerogativa: la possibilità di muoversi fisicamente nello spazio, grazie al tracciamento offerto dai due sensori, che vanno posti agli angoli di una stanza di almeno 4 metri per 3 (innalzandone chiaramente i requisiti logistici). Un fattore che completa con una naturalezza sconvolgente la sensazione di essere coinvolti direttamente e a fondo nello spazio virtuale. Un potenziale che abbiamo carpito in pochi istanti, con l'autentica epifania che ci ha travolti mentre eravamo ancora al tutorial, alle prese con la prima, piccolissima applicazione pratica della realtà virtuale secondo Valve: usare un controller per gonfiare dei palloncini e servirsi dell'altro per scoppiarli, ritrovandoci nel giro di pochi secondi a inseguirli o a saltare nel tentativo di raggiungerli. Con Tilt Brush ci si è aperto praticamente un nuovo mondo: la possibilità di disegnare nello spazio, vedendo le proprie creazioni diventare pressoché tangibili, senza alcuna imposizione di forma imposta da superfici, cornici e altri "contenitori" tradizionali, è qualcosa che fa trascendere il concetto di pittura, sfumandolo in quello di scultura, architettura e altre forme di espressione probabilmente ancora da scoprire. Nessuno tuttavia poteva rendere meglio l'idea che Valve stessa, specie quando è in gran spolvero: Aperture Robot Repair è una tech demo che nel giro di pochi minuti riesce a concentrare un nugolo di piccoli e intriganti modi di interagire con la realtà virtuale, a offrire del genuino coinvolgimento emotivo, travolgere con soluzioni scenografiche di grandissimo impatto e stuzzicare con tocchi umoristici. Il tutto scandito con un ritmo e un'inventiva da applausi scroscianti. La nostra esperienza con Vive si è chiusa tra i brividi, le vertigini e il senso di liberazione pressoché palpabili provocati da Everest VR, dimostrazione tecnica in Unreal Engine 4 realizzata da Nvidia in collaborazione con gli islandesi Sólfar Studios che ci ha resi protagonisti di un breve ma intenso excursus sulla montagna più alta del mondo, facendocene percepire tutta la maestosità, grazie anche a un impatto grafico a tratti sensazionale. Un incrocio, se vogliamo, tra una tipica applicazione turistica, di quelle che son venute in mente a tutti nel momento in cui si è pensato agli impieghi extra-ludici della realtà virtuale, un'avventura e un'esperienza mistica. A suo modo qualcosa di nuovo, non ancora definibile, se non attraverso termini che si devono ancora canonizzare. Che è esattamente il genere di cosa che si chiede alla realtà virtuale.