24 settembre 2014 Lascia un commento
Con gli anni e’ pleonastico parlare di un’accresciuta esperienza, semmai piena presa di coscienza, in parte accettazione e consapevolezza che seppur innata, la ninfomania e’ una malattia incurabile e da controllare. Iniziano i problemi fisici, non morali quelli mai e l’accenno di vecchiaia aprira’ le porte a nuove prospettive di vita, carriera e conoscenze, laddove indurita dalle tante vicissitudini della vita, ella cadra’ proprio al crescere del sentimenti e l’antica guerra contro l’amore e’ piu’ che mai giustificata.
La Gainsbourg padrona della scena. e’ brava e coraggiosa ma in fondo proprio con von Trier, l’abbiamo gia’ vista in azione e qui certo non si smentisce. Non meno tosta e’ Mia Goth, in relazione soprattutto alla giovane eta’ ma cio’ non basta per dare un giudizio assoluto.
Invece mi ha entusiasmato Jamie "Billy Elliot" Bell che conferma l’ottimo esordio con un proseguo eccellente. Infine lui.
Pare impossibile come von Trier sappia sorprendere di film in film e non parlo di migliorare o mutare, quanto il percorrere strade sempre nuove all’interno della propria cifra stilistica.
Se e’ chiarissimo il trend visuale intrapreso coi precedenti "Antichrist" e "Melancholia" nel suo nuovo lavoro il regista danese si permette di citare, forse evolvere, meglio dire usare elementi che appartengono ad altri. Penso alla schematicita’ di Greenaway, al respiro delle grandi fotografie di Malick e all’atmosfera dimensionalmente traslata di Kubrick che ritroviamo nella lenta ma dettagliatissima progressione degli eventi e ancor piu’ nella caratterizzazione dei personaggi tendenzialmente algida e persino impersonale, effetto straniante ottenuto anche grazie ad una curiosa inversioni die ruoli dove Joe, la ninfomane, vive e si racconta come una specie di esperimento o la freddezza di chi non enuncia senza cercare una risposta mentre chi trasuda passione e’ lui, l’anziano Seligman che nell’altezza dell’arte ha trovato l’orgasmo che un milione di amanti non potranno mai procurare a Joe.
L’inversione e’ talmente accentuata che ad un certo punto sara’ lei ad insegnare qualcosa a lui e il finale, senza svelarlo, completera’ l’intero quadro. Se e’ vero come e’ vero che e’ l’amore l’ingrediente segreto del sesso, si puo’ anche dire che e’ la passione, qualunque passione, l’ingrediente segreto della vita. C’e’ di che riflettere.
In "Nymphomaniac" non esiste pornografia anzi e’ tra i film meno erotici di von Trier in senso assoluto, essendo il sesso un mezzo non un fine, poco piu’ di un pretesto per definire uno schema comportamentale di individui la cui vera conquista nei secolo attuale non e’ la promiscuita’ sessuale ma la capacita’ di discernere ed imparare, un concetto che straccia tutte le velleita’ di coloro che confondono il Vivere coi vizi.
Joe e’ la triste figura di una donna neuro mutilata a cui il destino con la ninfomania ha tolto e non dato.
Non e’ una colpa, semmai una tragica fatalita’ perche’ e’ la sua natura e non puo’ farci nulla.
Finale contestato e contestabile, in realta’ coerente col resto quando parrebbe un semplice pretesto per uscirsene col botto. E’ che von Trier nelle uscite e’ piu’ morbido, percio’ spiazza chi lo segue da tempo ma proprio chi lo segue dovrebbe prepararsi a tutto perche’ di tutto e’ capace.
Seconda parte meno efficace della prima solo perche’ evolve un discorso senza accrescerlo, tutto e’ gia’ visto in attesa della conclusione per un film nel complesso ottimo, l’ennesimo esperimento riuscitissimo e degna fine della trilogia della depressione. Chi vuole un porno intellettuale, si guardi i film scandalo festivalieri degli ultimi decenni, questa e’ roba seria. Non e’ il film piu’ rappresentativo del regista danese e passato il clamore, restera’ un tassello importante della sua produzione in attesa della prossima meraviglia.