O la borsa o la Grecia

Creato il 10 dicembre 2014 da Albertocapece

Basta che venga pronunciata la parola elezioni che le borse crollano. Ed è persino ovvio: quando la rete di potere finanziario viene scossa dalle urne, senza che vi sia a disposizione un qualche comodo fantoccio con speranze di vittoria, il sistema bancario e finanziario (altrimenti noto sotto lo pseudonimo di “mercati”) reagisce con la vendita di titoli con lo scopo principale di impaurire parlamenti e votanti.

Questo testimonia del punto al quale siamo giunti e spiega la caduta della borsa di Atene e di quelle europee di fronte alla mossa disperata del premier Samaris di anticipare la problematica elezione del presidente, che se fallisse aprirebbe la strada alle elezioni. Mossa disperata perché previene i tempi rispetto alle trattative sui nuovi massacri chiesti dalla troika, nel tentativo di salvare il salvabile e di trovare ancora una qualche maggioranza qualificata, ma contemporaneamente si configura sia come ricatto nei confronti di Bruxelles che dello stesso popolo greco. Sa bene che il “pericolo” di una vittoria di Syriza, prima nei sondaggi, metterebbe fine alle torture cui è stato sottoposto il Paese con il beneplacito della destra al governo e soprattutto anticiperebbe il redde rationem di questa Europa.

Non si tratta tanto del timore di un’uscita della piccola Grecia dall’euro, un morto che cammina, di cui ormai la stessa Germania sta concretamente pensando di disfarsi ora che non è più conveniente, quanto dell’effetto domino che si avrebbe in Spagna che andrà a votare l’anno prossimo e in Italia dove il premier Renzi vuole arrivare alle elezioni anticipate prima del disastro fiscal compact. Tispras stesso è fondamentalmente un eurista e non perde occasione per dichiararlo e per rassicurare . e infatti può sembrare un  paradosso ma è molto più arduo per la Grecia, dopo sette anni di “cure” e di follie liberiste, uscire dalla moneta unica che per la Spagna e l’Italia.

Tanto per fare l’esempio italiano, illustrato nel grafico a fianco (basta cliccarci sopra per ingrandirlo) gran parte del debito è sotto giurisdizione nazionale, dunque senza problemi di cambio, per cui anche nell’ipotesi di un’eventuale svalutazione di una nuova Lira del 30%  rispetto all’euro ( l’ipotesi più pessimistica ipotizzata da Nomura nell’arco di due anni)  si avrebbero 32 miliardi di perdite massime per lo stato; 43 mld di perdita massima per le banche; 15 miliardi circa di perdita massima per le imprese. Ma questo senza tenere conto ovviamente dei crediti in euro verso soggetti non italiani che farebbe da compensazione o della possibilità di ricontrattare buona parte di queste cifre. Tanto più che come si vede anche dallo stesso diagramma i privati non bancari sono creditori verso l’estero. Dunque un momento di passaggio difficile e complesso, ma tutt’altro che un’apocalisse salvo per  il fatto che qualche banca già traballante e salvata da stress test fasulli, sarebbe costretta a fallire o in pratica ad essere nazionalizzata, esattamente come è successo in Europa per alcuni istituti di credito riempiti di titoli spazzatura.

Perciò non stupisce che siano le banche in prima persona a diffondere il verbo terrorista sull’uscita dall’euro, come vediamo dall’immancabile pendaglio da cassa continua che si affaccia ai talk show quando si tratta di seminare terrore. Tuttavia non credo affatto che sia questo il vero problema per cui si è deciso a suo tempo di massacrare la Grecia e di indurre il precipitoso declino dei Paesi della periferia continentale: il vero boccone amaro che i poteri finanziari non vogliono assolutamente ingoiare sono gli esiti della disgregazione di un’unione monetaria incoerente, nata da illusioni e da spinte politiche, ossia il ritorno dello Stato al centro dei giochi e  la possibile riaffermazione di politiche sociali e di bilancio non più condizionate da diktat esterni. Tanta fatica per costruire un paradigma liberista, prima incollato nelle menti, poi cementato dalla moneta unica, per rischiare di vederlo crollare come un castello di carte. Al riconoscimento finale dell’insostenibilità dell’euro si dovrebbe arrivare – secondo questi deliziosi think tank – con governi di destra o di pseudo sinistra complice ben radicati e con Paesi allo stremo, non più in grado di reagire.

Ecco perché la Grecia che a detta degli impareggiabili clown di Bruxelles “è tornata a crescere”, fa tanta paura: potrebbe essere la scintilla che scocca quando l’ordigno sociale non è stato ancora messo a punto.


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