Luigi Garlando è un prolifico scrittore per ragazzi, autore, tra le altre cose, della fortunatissima serie GOL che oramai da diversi anni rientra tra le più amate dai giovanissimi lettori da sette-otto anni in su.
Garlando, oltre a pubblicare titoli molto apprezzati, nella vita è anche giornalista della Gazzetta dello Sport, mestiere che, almeno in ordine cronologico, è il suo primo. Infatti, che la sua formazione sia sportiva e giornalistica, lo si vede dagli argomenti scelti per i suoi libri, nei quali lo sport e le tematiche sociali, anche politiche, hanno la meglio.
Le sue storie sono sempre storie di sportività, che inneggiano al rispetto delle regole, alla legalità, al valore dell’amicizia, del gioco, della condivisione, racconti che condannano i razzismi, le discriminazioni, le violenze, le mafie.
Si passa così dalla già citata serie sul calcio – ottima anche per invogliare i più pigri alla lettura, grazie agli accattivanti fumetti inseriti nel testo a spezzare la narrazione – a romanzi più maturi come “Mio papà scrive la guerra”, “Per questo mi chiamo Giovanni” – libro che ripercorre le vicende di Giovanni Falcone fino all’omicidio e dal quale è stata ricavata anche un bella graphic novel disegnata da Claudio Stassi – o “Camilla che odiava la politica”, passando da altri che prendono spunto dal gioco del pallone per parlare di tematiche di collaborazione, inclusione, lotta contro le prepotenze e crescita.
Seguo Garlando da parecchio tempo, con stima e simpatia, perché – piccola digressione personale – è uno degli autori con i quali mio figlio, ora quasi tredicenne, si è appassionato alla lettura.
Apprezzo moltissimo la sua capacità di entrare in sintonia con i ragazzi regalando loro storie agevoli, scorrevoli ma, allo stesso tempo, profonde e importanti, che sanno fare centro sui valori senza essere didascaliche, che sono leggere e significative allo stesso tempo.
Racconti che aiutano a riflettere, a guardare il mondo da un punto di vista più consapevole, che gettano semi di formazione per un adulto, e un cittadino, migliore, cha affrontano temi ostici con naturalezza ed onestà sapendo essere, anche, piacevoli, divertenti, e coinvolgenti.
Ho letto quindi il suo ultimo lavoro – “ ’O Maè. Storia di Judo e di camorra” edito da Piemme nella collana Il battello a vapore – con aspettative assolutamente positive. E devo ammettere che, non solo queste sono state ampliamente soddisfatte ma sono rimasta così conquistata dal libro da classificarlo, senza esitazioni, tra le letture più belle ed emozionanti dell’ultimo anno.
Alcune lacrime versate – quasi sempre di commozione felice – parecchi sorrisi, un protagonista che entra nel cuore, comprimari ben tratteggiati, impressivi nei loro ruoli e nei loro caratteri, e la splendida figura di Gianni Maddaloni, il maestro di Judo di Scampia, che esiste davvero, lotta quotidianamente col suo lavoro contro la camorra e per la salvezza dei ragazzini dei quartieri della malavita organizzata.
Una figura umana forte, intensa e coraggiosa, che offre al mondo un esempio da conoscere e da raccontare ad adulti e bambini.
La storia narrata nel libro non è una storia vera nel senso stretto del termine, ma potrebbe esserlo, e questo si sente, pervade tutte le righe, tutte le pagine, offre emozione al lettore, lo chiama a partecipare.
Potrebbe esserlo perché tante sono le vite simili a quella di Filippo, quattordicenne protagonista, che sono transitate, o transiteranno, dalla palestra di ‘O Maè.
Prossime alla sua o a quella degli altri ragazzi raccontati, giovani che passano dalla strada segnata lungo le vie della camorra a quella, molto più faticosa, dello sport e del lavoro, che arrivano dagli scippi, dalle guardie montate contro la polizia, dallo spaccio, dalle risse, dalla legge del più forte, alla disciplina, all’impegno, alla collaborazione, alla sportività, al rispetto delle regole e delle altre persone.
Un riscatto duro e doloroso, soprattutto là dove l’onore e il valore sembrano essere riconosciuti solo dal Sistema, che il sogno ereditato alla nascita è spesso quello di fare carriera nell’ordine gerarchico dettato dalla camorra e fare soldi, essere il prediletto del boss di turno, avere roba che dimostri il proprio status, essere temuto, paiono essere le maggiori aspirazioni possibili.
Esattamente questa è l’esistenza di Filippo: un padre in galera perché ex capo camorrista, una madre depressa che vive solo per la tv, un fratello maggiore che appare un eroe perché è forte, inclemente nel riscuotere il pizzo e deciso a scalare le vette del Sistema, un amico del cuore col quale dividere scorribande e rapine…
La scuola si frequenta un giorno no e l’altro neppure – tanto a cosa serve studiare per chi guadagna cento euro ogni turno da sentinella a protezione degli spacciatori? – divieti non ce ne sono, per affermarsi basta fare a pugni o a capate e se scarseggia la grana è sufficiente un motorino truccato e qualche giro nei quartieri della Napoli bene.
Una vita tracciata, un meccanismo ben oliato che si inceppa soltanto il giorno in cui uno zio panettiere – zio Bianco – conduce Filippo nella palestra di Gianni Maddaloni, insegnante di judo e padre di Pino, campione olimpico nella stessa disciplina alle olimpiadi di Sidney.
Parte da qui la rinascita, un percorso tutt’altro che semplice, ricco di salite, curve a gomito e, perfino, ritorni sui propri passi. Ma inesorabile, forse, come il talento di Filippo per la musica, un’abilità innata e istintiva che porta il ragazzo a saper riprodurre le note pur non conoscendole non appena mette le mani su una tastiera.
Il pianoforte e lo sport, due traini potentissimi per uscire dal Sistema, per dire a gran voce, come sarà poi scritto sulle magliette del Clan Maddaloni – quelli della palestra Stella quando andranno alle gare – “la camorra ci fa schifo”.
E nel frattempo il correre dei mesi, i tentativi, a volte riusciti altre meno, di tornare allo studio, le lezioni di musica con il professor Raul Ponzoni, l’incontro con la di lui figlia, la bella Ginevra dalle bianche braccia, anche lei impegnata con il judo, l’amicizia con Omero, compagno di allenamenti cieco ma abilissimo con la tecnica e con le parole, il rapporto con il fratello Carmine, che via via passa dall’idolatria alla critica, la conoscenza del segreto del padre…e tanti, tantissimi altri passaggi di crescita, alcuni dolorosissimi, altri felici, molti difficili, altri provvidenziali.
E’ realistico il percorso di Filippo, è sentito, vivo e vero, per questo il lettore si accora dietro le pagine, non riesce a staccarsene, sente i personaggi come amici.
La narrazione in prima persona, oltre ad aumentare il coinvolgimento e trasportare, letteralmente, dentro alla storia, fa amare Filippo – che suscita rabbia e insieme simpatia, tenerezza e insieme ammirazione – , aiuta a sorridere, crea il legame con la terra napoletana, con il suo linguaggio – che fa a tratti capolino tra le righe – con le sue tradizioni e le sue passioni.
E’ bravo l’autore, che non è napoletano affatto, a ben rendere il rapporto del giovane protagonista con la sua città, con il suo quartiere, un vincolo forte che resta d’amore pur quando le bruttezze sono evidenti, che è speranza, appartenenza, orgoglio perfino e desiderio di riscatto.
Consiglio davvero calorosamente la lettura di “’O Maè” a tutti i ragazzi e le ragazze dalla prima media in su.
Dentro ci troveranno una storia forte che non permetterà loro di adagiarsi, che li pungolerà a riflettere anche sulle loro vite ben distanti dalla malavita.
Perché alcuni valori, quelli passati attraverso il racconto, sono universali, importanti, decisivi e possono essere applicati ad ogni contesto. Sono quelli che insegnano il rispetto delle regole e delle persone, che spingono ad un punto di vista diverso secondo il quale non vince chi è più forte, chi frega il prossimo, ma chi collabora e si affida finanche all’avversario. Che dicono che per crescere sovente bisogna scegliere da che parte stare, anche quando la scelta è ardua e la ricompensa non immediata, che per avere qualcosa, per essere qualcuno, bisogna lavorare, studiare, essere coraggiosi, che le vie facili non sempre sono raccomandabili né rendono esseri umani migliori.
C’è tanto bisogno di legalità anche là dove non sono forti o presenti le mafie. C’è bisogno perché solo crescendone nel rispetto si può costruire una società migliore, dove la politica sia migliore, dove il lavoro sia migliore, dove le relazioni tra la gente siano migliori.
E infine…ditemi se, terminato il romanzo, non viene una gran voglia di iscriversi ad un corso di judo! E magari di visitare la palestra Stella, quella dove lavora, insegna e dà l’esempio tutti i giorni ‘o maè Gianni Maddaloni.
(età consigliata: da 11 anni)
Se il libro ti piace, compralo qui: ‘O maé. Storia di judo e di camorra