27 maggio 2014 Lascia un commento
Uno dei sistemi per vincere i Festival e’ affidarsi alle disabilita’. Personalmente lo trovo quanto di piu’ discriminatorio si possa fare nei confronti di chi queste disabilita’ le vive realmente, perche’ premiare un attore o un film per il solo recitare un ruolo da handicappato e’ offensivo quanto eleggere qualcuno in forza di quote imposte, oppure piazzare negli spot un negretto ogni quattro bambini o un orientale ogni sei. Tanto per dire ma e’ la logica di chi si ritiene superbamente piu’ illuminato degli altri.
Nella misura in cui lo straordinario offre meno confronti dell’ordinario, risulta piu’ convincente interpretare un malato di autismo piuttosto che un salumiere o un tramviere – ogni riferimento non e’ casuale – percio’ la facile scorciatoia.
Esistono comunque le eccezioni. Moon So-ri, la protagonista e’ indubbiamente molto brava ma credo ancora di piu’ lo sia Sol Kyung-gu perche’ e’ ben piu’ difficile recitare un personaggio sul centro esatto che divide normalita’ e idiozia. Per entrambi certe scene non devo essere state facili, laddove passare dal dramma alla pantomima e’ un attimo. Potrei sbagliare ma non vedo in Lee segni di un pietismo peloso da festival e neppure una volonta’ provocatoria. Sono certo il suo intento sia il raccontare una storia dove l’handicap e’ uno stato dell’essere come un altro. Del resto entrambi i personaggi non piangono sulla loro condizione, non si pongono come vittime anzi spesso sono fastidiosi al limite dell’intollerabile, senza giustificazione ma senza condanna e la societa’ non e’ cattiva anzi si rivela fin troppo comprensiva, magari egoista ma non serve parlare di minorati per dirlo. Il finale poi, persino allegro e positivo, toglie ogni dubbio sulla volonta’ del regista di raccontare e non accusare.
Lee abbandona il pragmatismo quando passa dallo stato dei fatti ad uno stato dell’anima laddove la fantasia allegra di Moon si rappresenta sullo schermo nei suoi balli e nel suo cantare ma il gesto non vuole avvicinare il pubblico, semmai lo allontana, alla von Trier e "Dancer in the dark" per intenderci, straniante quanto basta per sottolineare il tocco d’artista.
Il processo e’ stato lungo ma alla fine il film mi ha convinto e c’e’ riuscito attraverso la sincerita’ di tutte le sue parti.