Il Presidente Obama ha firmato l’Atto di Autorizzazione alla Difesa Nazionale il 31 dicembre 2011. Questa legge di finanziamento dell’esercito ha anche una funzione penale attraverso l’inserimento di articoli che autorizzano la detenzione infinita, senza processo e senza accusa, di cittadini definiti nemici dal potere esecutivo.
Gli americani coinvolti non sono soltanto coloro che saranno catturati sul campo di battaglia, ma anche coloro i quali non abbiano mai lasciato il suolo degli Stati Uniti, né partecipato ad una qualsiasi azione militare. La legge si riferisce alle persone che l’amministrazione ha definito membri «di Al Quaeda, Talebani e chiunque prenda parte ad azioni ostili contro gli Stati Uniti», ma anche chiunque «ha appoggiato in modo sostanziale queste organizzazioni». Tale formulazione permette un uso flessibile ed estensivo della legge.
Mentre firmava la legge Obama ha dichiarato che la sua amministrazione non autorizzerà la detenzione militare, illimitata e senza giudizio, di cittadini americani. Questa possibilità non sarebbe contraria all’ordinamento statunitense, ma soltanto ai «valori» dell’America. E’ in nome di questi ultimi che lui non utilizzerà l’opportunità offerta dalla legge, e non anche perché questo tipo di detenzione sarebbe contrario alla Costituzione. Egli sostiene anche che, nei fatti, l’Atto di Autorizzazione alla Difesa Nazionale non gli conferisce nuove prerogative. Di questi poteri straordinari il Presidente dispone da quando, il 14 settembre 2001, il Congresso ha adottato una risoluzione che stabiliva «che il Presidente è autorizzato ad utilizzare tutte le forze necessarie ed appropriate contro le nazioni, le organizzazioni o le persone che abbiano pianificato, autorizzato, commesso o aiutato attacchi terroristici dopo l’11 settembre 2001..». Obama si trova d’accordo anche con la certezza espressa da G. Bush, contrariamente al quadro del testo, che il consenso dato al Presidente di usare la forza gli conferisca un’autorità senza limiti nello spazio e nel tempo, per agire contro tutti gli aggressori potenziali e non soltanto contro quelli implicati negli attentati dell’11 settembre.
La stessa autorizzazione è preceduta da un preambolo che enuncia: «Atteso che il Presidente ha l’autorità da Costituzione di dissuadere e di prevenire gli atti di terrorismo internazionale contro gli Stati Uniti». G. Bush ha regolarmente fatto parte di questo per giustificare le violazioni delle libertà costituzionali dei cittadini americani. Il Presidente Obama adotta la stessa lettura per negare il carattere innovatore di una legge che gli permette di sopprimere l’habeas corpus dei cittadini.
Qui, la primazia non risiede più nel testo normativo, ma nell’iniziativa presidenziale. É per fatto proprio che Obama non userà l’autorizzazione che la legge gli dà di incarcerare, indefinitamente e senza incriminazione, dei cittadini americani. Allo stesso modo, si oppone all’obbligo di detenere militarmente i terroristi stranieri. A tal proposito, sostiene che la sua amministrazione «interpreterà ed applicherà le disposizioni sopra descritte in modo da preservare la flessibilità da cui dipende la nostra sicurezza e da mantenere i valori sui quali è fondato questo paese». Si allontana, così, risolutamente dalla regola che stabilisce che, una volta sottoscritto un testo di legge, il Presidente lo applichi lealmente. Obama capovolge il carattere stringente del testo normativo a beneficio della libertà presidenziale. Al contempo, i «valori» statunitensi diventano preminenti rispetto alla legge.
Se l’Atto di Autorizzazione alla Difesa Nazionale non fa che fissare prerogative che il potere esecutivo già possiede, il problema verte soltanto sulle modalità di esecuzione. Il Presidente non deve essere limitato nella sua lotta contro il terrorismo. Per Obama, gli articoli incriminati sono incostituzionali, non perché concentrano i poteri nelle sue mani, ma perché restringono la sua libertà di azione. Le clausole contestate istituiscono una detenzione militare che limita la necessaria «flessibilità» dell’azione dell’amministrazione, per esempio la possibilità di detenere un prigioniero straniero in un campo della CIA. Gli articoli incriminati «si oppongono al principio della separazione dei poteri».
Obama capovolge questo modo di organizzazione che apparteneva ai Lumi. Per Montesquieu, l’obiettivo perseguito è impedire la concentrazione del potere politico in un’unica autorità. Per fare questo, i poteri si equilibrano e si limitano a vicenda. Obama, al contrario, opera una scissione nell’esercizio del potere statale, in modo che quello legislativo non possa esercitare un controllo sull’esecutivo. La separazione dei poteri diventa assenza di limiti posti all’azione presidenziale. Si tratta di un modo di organizzazione di un paese in guerra aperta e la cui esistenza è minacciata da un potere esterno. Le amministrazioni Bush ed Obama ritengono che l’autorizzazione, data nel 2001 dal Congresso, di usare la forza contro gli autori degli attentati dell’11 settembre sia equivalente ad una dichiarazione di guerra, come quelle votate durante la Seconda Guerra Mondiale. Il campo d’applicazione diventa molto più ampio dato che l’autorizzazione del 2001 permette di usare la forza non solo contro altre nazioni, ma anche contro Organizzazioni o semplici individui.
L’Atto di Autorizzazione alla Difesa Nazionale iscrive nella legge una modifica della nozione di ostilità. Questa ultima ci sistema all’interno di una psicosi. Essa ha come scopo annunciato quello di fare fronte ad un conflitto contro avversari non chiaramente definiti che non minacciano l’integrità del territorio nazionale. La battaglia antiterroristica produce un’immagine costantemente rinnovata del nemico. Essa si mostra come una guerra permanente e senza frontiere che, non distinguendo tra un cittadino americano ed un soldato di una potenza straniera, non separa l’interno dall’esterno.
La struttura politica e giuridica, costruita a partire da questa nuova guerra asimmetrica, capovolge la forma dello Stato di diritto. La legge non è più riduzione dell’eccezione, ma la sua estensione continua.
(Traduzione dal francese di Simona Bottoni)