Quando salgo alla fermata di Barberini, metro A direzione Anagnina, lui è già lì. Capelli rossi, lentiggini, sopracciglia enormi e folte, avrà forse cinquant’anni. Siede completamente avvolto sul libro che ha in mano, leggendolo avidamente. Nel frattempo le maniche della giacca, troppo lunghe, costringono le mani a farsi faticosamente spazio verso l’esterno per poter sostenere il peso del volume. Ai piedi una borsa blu di pelle si mostra agli altri passeggeri fieramente lisa, mentre le scarpe scamosciate rinunciano a tenere insieme i lacci ribelli. Questi, che in un momento di ammutinamento dalle regole dettate dal decoro hanno arbitrariamente deciso di sciogliersi, da alcuni minuti vagano irrequieti sopra e sotto le suole.
In questa strana anarchia vestiaria ha il suo posto d’onore la cravatta, una proboscide colorata decisamente troppo lunga che parte dal collo e ondeggia insieme al suo proprietario ad ogni partenza a scatto del mezzo. Il lettore, dal canto suo, sembra non dar peso a nulla. Eppure niente della sua persona sembra essere d’accordo con l’affermazione principe del libro, che parla chiaro fin dalla copertina: Obbedire è meglio.
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