Lisbona è un cielo terso, un azzurro carico, sterminato, ininterrotto che si stempera dolcemente fino a fondersi con l’acqua argentea, laggiù.
E’ una crema gialla densa e squisita che ti si attacca alle dita e che non vedi l’ora di leccare via.
Lisbona è una caravella che strizza l’occhio all’orizzonte, è lo sguardo orgoglioso di un esploratore, è una feritoia che si riempie di luce, una torre che sembra emergere dalle acque, un cannone che domina tutta la città, come se volesse tenerla al sicuro.
E’ una massa di acqua lucente sullo sfondo, un nastro scintillante che profuma di mare solcato da gabbiani impertinenti che ti fa dimenticare di essere in riva ad un fiume.
Lisbona è una piazza affollata di gente che beve da bicchierini minuscoli e appiccicosi che celano un segreto sputato via in un nocciolo.
E’ un dedalo di viuzze strettissime e segrete che salgono e scendono e palpitano e brulicano come un cuore innamorato e inquieto.
E’ una terrazza vestita da prato, profumata d’incenso, imbevuta di risa, dove l’aperitivo più chic è quello che si beve seduti per terra, mentre il sole cala, il paesaggio si colora di rosse, le lingue si sciolgono e la musica, oh la musica, sale.
Lisbona è un tram giallo e un po’ scassato che si arrampica su improbabili salite, vola su incredibili discese, svolta coraggiosamente su binari consunti, sbuffa e fischia e sferraglia e sembra sempre essere lì lì per alzare bandiera bianca ed invece no. Ce la fa sempre.
Lisbona è un quartiere di pirati, un labirinto di casupole minuscole che si affacciano su giardini segreti e cortili nascosti, una capoeira di mattonelle azzurre e tetti rossi e colori pastello e panni stessi e persone che chiacchierano vivacemente da porta a porta mentre si scambiano un piatto colmo di squisitezze e ti sorridono quando tu, straniero, timorosamente passi.
Lisbona è un lamento antico che sa di dolore e nostalgia, un canto melodioso ed infinitamente triste capace di far affiorare una lacrima anche negli occhi più gioiosi, è una moltitudine di gente fiera che sembra sempre guardare oltre e che cela nello sguardo una profonda malinconia ed una triste consapevolezza radicata ed ineliminabile.
Lisbona è un insegnamento.
Perché avvolta dal fado e con gli occhi colmi di quella luce abbacinante, mentre rapita non potevo far altro che tuffarmi in quel turbine di vita, persone, sapori e odori, mi sono specchiata in una vetrina e rivista in una foto. E ho sorriso a me stessa perché ho capito di non essere più la sua ragazza triste, no, ma nemmeno la tua bambola malinconica.
Perché adesso, io, sono felice.