Magazine Opinioni
Questo sistema consumista che stiamo vivendo e di cui siamo figli ha bisogno di determinate regole, determinati trucchetti per poter esistere.
Uno di questi è l’obsolescenza programmata, una truffa a tutti gli effetti e che ha un raggio molto più ampio di quello che potrebbe sembrare.
Fu inventata dai produttori di lampadine Phobeus nel 1929 che monopolizzarono il mercato, delle lampadine appunto, allo scopo di venderne di un tipo che durava 1000 al posto delle 2500 di media all’epoca.
Il termine fu usato per la prima volta nel 1932 quando essa fu proposta come politica aziendale per risolvere la crisi americana del 1929. Fu poi adottata? Probabilmente sì, dato che abbiamo infiniti esempi di obsolescenza programmata tutt’oggi.
Si parla di essa infatti anche quando, per esempio, si rompe il gancio di chiusura dell’oblo ed è necessario cambiare tutto l’oblo o addirittura tutta la lavatrice affrontando costi enormi rispetto all’effetivo problema tecnico che si ha.
O quando dopo un tot. di ricariche lo spazzolino elettrico smette di funzionare ed è un tipo in cui non si può sostituire la batteria.
La stessa Apple è stata citata in giudizio per un modello di Ipad a cui pare non funzionasse più la batteria dopo 18 mesi esatti dall’acquisto. Quando i consumatori hanno cominciato a confrontarsi e a chiedere spiegazioni, la società ha rimborsato tutti i clienti che avevano un Ipad di quel modello in via preventiva, senza tuttavia ammettere l’ipotesi di reato, dicendo che fosse un difetto di fabbrica.http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/scienza_e_tecnologia/mondomac/pilaipod/pilaipod.html
Ma come fanno a sbagliarsi a certi livelli?
Qualcuno obietta che questo modo di produrre sarebbe controproducente per le aziende stesse che perderebbero i clienti, ma se lo facessero tutti quanti i produttori in modo diverso? Il discorso cambia vero?
Alla fine comprare molto spesso la batteria dello spazzolino elettrico, perché magari continua a rompersi o perché dura sempre meno, non è una forma di obsolescenza programmata? Se mi si rompe il manico dell’aspirapolvere è possibile che non vendano ricambi?
Dalle TV che hanno i condensatori vicino alle loro stesse fonti di calore , ai computer che si surriscaldano (e non sono errori di progettazione, è tutela del consumismo)o a cui puntualmente si rompe lo spinotto del cavo di alimentazione, pare proprio essere una moda diffusissima fra i produttori.
Ma se vogliamo metterci tanta buona fede, e credere che siano errori di progettazione, o che magari solo i prodotti a minor prezzo sono fatti così per ovvie esigenze, basta che pensiamo alle calze di nylon. Quando furono inventate erano indistruttibili, poi fu commissionato proprio a chi aveva inventato quel nuovo “tessuto” di indebolirlo prima di destinarlo al mercato. Altrimenti cosa si sarebbe potuto vendere una volta che tutte le donne si fossero munite delle loro calze indistruttibili?
C’è un documentario interessantissimo che si intitola “Il complotto della lampadina” che parla proprio di questo fenomeno. Una donna cerca di aggiustare la sua stampante data per morta dai tecnici a cui l’ha sottoposta e scopre che esiste un software in grado di riprogrammare la stampante e renderla “nuova” e quindi di nuovo funzionante.
Questo perché all’interno della stampante era posto una sorta di contatore che ordinava alla stessa di bloccarsi una volta raggiunte le 15000 copie. Così la donna riesce ad aggiustare la sua stampante semplicemente installando il software scaricato da internet.
In Germania questo fenomeno è molto conosciuto e hanno molti siti internet in cui i consumatori possono scambiarsi le proprie esperienze. Tanti prodotti elettronici infatti, si rompono subito dopo la fine della garanzia.
Tanti produttori non vendono pezzi di ricambio o li vendono a prezzi carissimi. Assemblare un auto con pezzi di ricambio per esempio, costerebbe oltre 20 volte che comprarla nuova.
Visto che sembra lo facciano tutti ma in modo diverso, è stupido pensare che l’azienda possa perdere il cliente, anche perché molte volte il produttore è uno e cambia poi il nome sulla scatola. Si potrebbe provare a contrastare il fenomeno con il pay per use, o anche obbligando i produttori a smaltire i loro stessi prodotti non più funzionanti, come si pensa di fare in Francia e in Svizzera.
O spargendo la voce per quei prodotti elettronici a cui basterebbe un software per tornare a funzionare.
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