Magazine Diario personale

Occupo poco spazio

Da Luca.sempre @lucasempre_

Nada

(stazione #tre - questo post è il terzo della serie “Cosa c’entra Michelangelo con la nuova Fantascienza?”)

Lo confesso.

Come avrai intuito dall’immagine di apertura, il titolo di questo articolo l’ho rubato a Nada.

Esatto, proprio lei. La cantante. Quella che nei meravigliosi Anni Ottanta se ne andava in giro per l’etere a cantare Amore Disperato, quell’amore che sembra un angelo caduto dal cielo quando entra al Sassofono Blu-uu.

“Occupo poco spazio” è infatti il titolo del suo ultimo album in studio ed è – oltre ogni ragionevole dubbio – un titolo geniale.

Sintetico e incisivo al punto giusto. Dunque: perfetto.

Insomma… uno di quei titoli che mi sarebbe piaciuto appioppare a un mio racconto o a un prossimo romanzo. E invece lei è arrivata prima. Peccato.

Però qualcosa dovevo farci. Col titolo dico. E così è arrivata l’illuminazione.

Solo che ora il mistero s’infittisce, giusto?

Vada per Michelangelo Lo Scultore… ma era proprio necessario chiamare in causa anche Nada La Cantante?

Immagino di sì.

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Nada + Michelangelo + Fantascienza = 

Pensare fuori dagli schemi

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Ci proviamo, almeno.

Perciò allacciati le cinture e vediamo che ne esce fuori.

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# Dallo spazio sconfinato allo spazio confinato

Si può limitare lo spazio?

Domanda sbagliata, secondo me. Sarebbe più corretto chiedersi se lo [spazio] sia davvero senza confini.

Proviamo a ragionarci un po’ su, ok?

Lasciamo perdere per un attimo quello che dice la scienza ufficiale (come sai in questo blog sono più importanti le suggestioni delle verità), e pensiamo alle visioni futuribili indotte da pellicole come Guerre Stellari o Star Trek, visioni che negli anni hanno certamente contribuito a plasmare un certo tipo d’immaginario collettivo legato alla letteratura e al cinema di fantascienza.

Beh… in questo caso la risposta alla precedente domanda sarebbe affermativa. Lo spazio è davvero sconfinato.  

Se infatti è ragionevole ipotizzare che da qualche parte lo [spazio-universo] debba pur finire, dall’altra è altrettanto ragionevole ammettere che noi piccoli abitanti del pianeta Terra forse non riusciremmo mai a vedere i confini dell’universo. I suoi contorni. La sua [frontiera].

Perciò, fino a prova contraria – fino a quando cioè non lo avremo appurato con i nostri occhi - dobbiamo presumere che l’universo e lo spazio intergalattico siano davvero “senza confini”.

Ma forse possiamo anche presumere altro.

Possiamo cioè presumere che se adottassimo un nuovo punto di vista sul concetto di [spazio] forse qualcosa cambierebbe.

Da sempre, infatti, l’aspetto che più di ogni altro ha affascinato cineasti e scrittori quando si è trattato di realizzare opere di fantascienza è stato proprio il concetto di viaggio, esplorazione, e più in generale la [reazione] dell’intelletto umano al contatto con nuovi mondi e altri universi.

Abbiamo già accennato più volte a Star Trek o Guerre Stellari, ma anche lo stesso Ridley Scott – in quel capolavoro immenso da cui non riuscirò mai a staccarmi (visi-vamente e visio-nariamente parlando) che risponde al nome di Blade Runner – affrontò il tema dello [spazio] e del [futuro] come un nuovo mondo possibile in cui esseri umani e androidi convivono (quasi) fianco a fianco.

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Blade Runner

Una celebre scena di Blade Runner

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E anche in Blade Runner – sebbene il concetto di viaggio/spedizione sia presente in tono minore rispetto ad altre pellicole simili – lo [spazio] non è mai visto come qualcosa di “limitante” e “invalidante”.

Nella Nuova Fantascienza, invece, il punto di partenza è proprio questo:

    • Il limite.
    • Il confine.
    • Il contorno.

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# La Nuova Fantascienza

Leggendo gli articoli di questa serie ti sarai accorto che ho usato più volte l’espressione [Nuova Fantascienza].

È bene che tu sappia però che la definizione (se di definizione si può parlare) è mia e soltanto mia.

Spulciando in rete, infatti, non ho trovato ancora nessuno che abbia cercato di mettere a fuoco questa nuova tendenza – tanto nel cinema quanto nella letteratura – o abbia anche solo cercato di assegnargli una connotazione ben specifica.

Forse sono solo io, nei miei deliri visionari e vaneggianti, che sto provando ad inquadrare alcune opere all’interno di una categoria che ancora non esiste e forse mai esisterà.

Resta il fatto che nella Nuova Fantascienza, appunto, lo [spazio] non è più un universo da esplorare ma un territorio [geometrico] con con-torni e con-fini ben delineati, entro cui muoversi e sopravvivere.

Uno spazio claustrofobico. Uno spazio-recinto all’interno del quale, per sopravvivere, non hai scelta. Devi occupare poco spazio, come canta Nada.

O essere fortunato e ritagliartene uno, di spazio.

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# Vivere dentro un silo

Nell’articolo precedente della serie mi chiedevo cosa accade quando un mondo rimpicciolisce. E alla fine ti lasciavo con una domanda: come può un mondo rimpicciolirsi?

Bene. Immagina questo.

    • Immagina un mondo post-apocalittico dove i pochi sopravvissuti sono costretti a vivere dentro un gigantesco silo ricavato sottoterra a causa dell’aria letale che si respira in superficie.
    • Immagina una società fortemente gerarchica, governata da leggi spesso assurde, emanate al solo scopo di garantire la sopravvivenza del silo.
    • Immagina un mondo [sotto] dove per ogni nascita deve esserci anche una morte e dove l’unico contatto con il mondo [sopra] è uno schermo le cui lenti devono essere “pulite” ad intervalli regolari a causa delle polveri tossiche presenti in superficie.
    • Immagina che la [Pulizia] di queste lenti possa essere fatta solo all’esterno del silo, e pertanto affidata ai condannati a morte.

Questi sono solo alcuni dei presupposti su cui si basa Wool, romanzo d’esordio dell’americano Hugh Howey balzato agli onori della cronaca dopo aver venduto centomila copie autopubblicandosi su Amazon.

Sì. Hai capito bene. Stiamo parlando di Self-Publishing, termine che il solo pronunciarlo fa spesso rizzare i capelli a critici, case editrici, blog letterari, e lettori esigenti, ma che in alcuni casi – è questo il lato più affascinante, no? – porta alla ribalta libri e romanzi altrimenti snobbati dai grandi editori.

E così Wool è attualmente in corso di pubblicazione in 18 paesi (in Italia è stato pubblicato da Fabbri sulla fine del 2013; come puoi immaginare, sono stato uno dei primi ad accaparrarmene una copia) e diventerà presto anche un film.

Per mano di chi?

Non c’è bisogno che te lo dica. Speriamo solo che il buon Ridley ci regali un altro capolavoro degno di Blade Runner, anche se – francamente – la vedo un po’ duretta come impresa. Tipo sperare che un giorno Balotelli faccia (e dica) qualcosa di sensato.

Robetta da niente.

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Wool-Copertina

 

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# Quando la convivenza diventa forzata… chi sopravvive?

In “Wool” il silo diventa il protagonista assoluto della storia, uno [spazio] mondo dove la convivenza forzata – e la conseguente vita “in verticale” – obbliga i pochi sopravvissuti a rispettare regole assurde imposte dal governo al solo scopo di garantire l’ordine sociale all’interno del mondo-silo, ordine in passato già più volte minacciato da inevitabili rivolte e crudeli repressioni.

Insomma… geniale l’assunto di base. Geniale soprattutto l’idea di ambientare la vita, in un prossimo futuro distopico, all’interno di uno [spazio] ristretto e per sua natura invalidante.

Con tutte le conseguenze del caso.

Così, se in Guerre Stellari o Star Trek te ne andavi in giro per le galassie a scoprire nuovi mondi, qui non hai scampo. Al massimo puoi andartene in giro nel silo. Ma oltre quello non vai. E se per caso ti viene voglia uscire là fuori… beh, sei fottuto.

Un nuovo concetto di [spazio], appunto.

Il romanzo è un po’ lunghetto, 560 pagine. Gli avrei dato quattro stelle piene se non fosse che in certe parti si trasforma in un trattato di elettromeccanica, rendendo così noiosetta la lettura. Cento pagine in meno avrebbero sicuramente giovato alla riuscita finale.

Resta il fatto che l’ambientazione è davvero affascinante e la scrittura scorrevole senza mai apparire banale.

Ho deciso che leggerò anche gli altri due libri della trilogia (eh già… non te l’avevo detto?)

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# Snowpiercer

Cambiano di nuovo prospettiva. Ti va?

Bene. Chiediamoci allora cosa accadrebbe se in un prossimo futuro distopico la vita si spostasse da uno spazio [verticale] a uno [orizzontale] - da un misterioso silo sotterraneo a una interminabile successione di vagoni.

Riesci a immaginarlo?

Dura, se non sei mai stato dentro uno Snowpiercer.

“Snowpiercer” è infatti il titolo del film diretto dal regista coreano Bong Joon-ho che nel 2013 ha strappato lunghi applausi e molti consensi al Festival del Cinema di Roma e che – come Wool – si propone di cambiare il nostro approccio al concetto di [spazio] nella fantascienza tradizionale.

Andiamo però con ordine e chiediamoci: che diavolo è uno Snowpiercer? 

Qualcosa d’irrealizzabile, forse. Un treno che continua a spostarsi intorno alla Terra senza mai fermarsi, procurandosi – grazie a questo moto perpetuo – l’energia necessaria alla vita e alla sopravvivenza dei suoi passeggeri.

Come in Wool, infatti, la vita all’esterno del treno è impossibile per via di un’improvvisa glaciazione che ha fatto piombare l’umanità in una nuova era glaciale.

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Sebbene non scevro da difetti (ma alcune sequenze del film meritano da sole il prezzo del biglietto), l’aspetto terribilmente affascinante di Snowpiercer risiede – come in Wool – nello scenario limitante e claustrofobico in cui sono costretti a muoversi i pochi sopravvissuti all’apocalisse.

Come accadeva nel [silo], anche in questo caso è la struttura stessa del [mondo] [contenitore] [treno] a influenzare la rigida organizzazione gerarchica dei passeggeri che abitano lo Snowpiercer.

In Wool la possibilità di trasferire informazioni dai livelli più bassi a quelli più alti del silo risulta fortemente “limitata” a causa del numero impressionante di scale che (di fatto) rendono impossibile qualsiasi comunicazione istantanea fra i vari reparti. Tuttavia una vera e propria suddivisione tra poveri e ricchi, umili e benestanti, non esiste.

In Snowpiercer, invece, gli ultimi vagoni del treno ospitano la parte più povera della popolazione, continuamente vessata da una milizia feroce e priva di scrupoli che agisce col solo scopo di preservare i lussi della parte [alta] del treno – quei vagoni di prima classe che accolgono i passeggeri “benestanti”.

    • In Wool chi controlla il reparto informatico controlla il silo. 
    • In Snowpiercer chi controlla la testa controlla il treno.
    • In Wool sarà il livello più basso – assegnato al reparto meccanica – a fomentare la rivolta nel silo. 
    • In Snowpiercer saranno invece i passeggeri degli ultimi vagoni a spingersi verso la testa del treno per conquistare finalmente il potere e la libertà.

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Snowpiercer

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In altre parole, Wool e Snowpiercer rappresentano una nuova possibilità di espansione all’interno di uno [spazio] limitato.

Non troverai in queste due opere galassie da esplorare e nuovi mondi da conquistare, ma solo livelli claustrofobici e confini geometrici invalidanti. E, in entrambi i casi, [occupare poco spazio] non rappresenterà per te una libera scelta ma una maledetta necessità, un precetto che non puoi non abbattere se davvero vuoi sopravvivere o, semplicemente, recuperare la tua dignità di essere umano.

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# E tu?

Avresti qualche altra opera da suggerire che sia in linea con questo nuovo approccio alla fantascienza, opera in cui lo spazio non è più sinonimo di [esplora]zione ma di [limita]zione?

Io ci pensavo giusto ieri, sai.

In fondo l’idea alla base della splendida trilogia di Matrix non è forse la stessa di quella che troviamo in Wool e Snowpiercer? La [Matrice] non è forse lo [spazio virtuale ristretto] dentro il quale l’umanità – a sua insaputa – è costretta vivere?

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Matrix-Film

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Che la Nuova Fantascienza sia già iniziata da qualche anno e ancora nessuno se n’è accorto?

 

Tag:Blade Runner, Bong Joon-ho, Fantascienza, Hugh Howey, Matrix, Ridley Scott, Self Publishing, Silo, Snowpiercer, Treno, Wool


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