Impacchettato, corredato di codice a barre e di barretta antitaccheggio. “Occupy” continua la sua personale ascesa e si fa brand esplicito a tutti gli effetti, partorendo “Occupy This Album”. La compilation del movimento sarà in tutti i negozi di dischi a partire dal prossimo 15 maggio, e ci porterà in dote 99 brani, sull’onda del famoso slogan “We are 99%”, nato durante lo scorso settembre di protesta newyorkese. Dal raduno di Zuccotti Park è nata una raccolta di collaborazioni importanti, da Ani Di Franco a Tom Morello (ex Rage Against The Machine e Audioslave), da Unkle ai Third Eye Blind, da Mogwai agli Anti-Flag. C’è addirittura un pezzo del famoso regista Michael Moore, che si prodiga in una cover di Bob Dylan. La data di uscita coincide con la data d’esordio del movimento di indignazione, che nel 2011 cominciò ad affacciarsi in 50 città spagnole, in occasione delle elezioni amministrative, per farsi portavoce del disappunto globale di un’epoca in cui i declini assomigliano a picchiate. Sotto i colpi di slogan come “non siamo merce in mano di banchieri e politici”, El Movimiento 15-M (dove 15-M sta proprio ad indicare la data d’esordio) ha poi rapidamente trovato humus fertile in diverse parti d’Europa, prima di valicare l’Atlantico ed esplodere con la famosa marcia di Wall Street (quella dei 700 arrestati sul ponte di Brooklyn, per intenderci).

Dopo tanti anni, ecco che la scena della protesta s’illumina sui prototipi di rock metropolitano del nuovo millennio, quello che preferisce i club e i disc jockeys ai grandi prati e agli sterminati campeggi. Nuovi nomi emergenti come Matt Pless, ma anche grandi mostri sacri degli anni che furono, comePatti Smith, David Crosby & Graham Nash, Joan Baez. Salti approssimativi, e piccoli assaggi dalle contestazioni di ogni epoca: la Baez per il ’68, i Blondie diDeborah Harry per il ’77. E se non bastasse, in mancanza di John, anche Yoko Ono e il figliastro Sean Lennon.


Oggi la strada è cambiata, proseguendo senza sosta verso il capitalismo dell’anticapitalismo, con un’operazione commerciale che finge (male) di colorare anfratti vuoti di passione, di coscienza e di consapevolezza di declino. Alle spalle, una mera questione economica, in favore del “sostegno del movimento”. Quello stesso movimento che ha la forza di firmare un contratto con Razor&Tie, ma che non ha la forza di andare avanti senza il tuo piccolo aiuto.
E così, nel frattempo, il declino prosegue inesorabile. Per accorgersene, basterà entrare in qualsiasi Megastore, tra una Playstation 3, Dvd, e telefoni dell’ultima generazione. Ad osservare con un po’ di attenzione, là in mezzo, coperta di plastica e con un codice a barre, ci sarà anche l’Indignazione.
(Pubblicato su “Gli Altri Online“, il 26 aprile 2012)





