Rappresentazione artistica di Plutone e, alla sua destra, di Caronte, la sua luna più grande. Crediti: NASA / ESA / G. Bacon (STTcI)
Manca poco più di un anno all’arrivo della sonda NASA New Horizons al pianeta nano Plutone e le sue lune. Dopo un viaggio di 10 anni e quasi cinque miliardi di chilometri percorsi, inizierà così una nuova affascinante esplorazione di alcuni tra i più remoti e sconosciuti oggetti ai confini del Sistema solare. Nell’attesa, gli scienziati sono al lavoro per organizzare al meglio le osservazioni e, soprattutto, sfruttare ogni singolo bit dei preziosi dati e delle immagini digitali che arriveranno da New Horizon.
Le dettagliate riprese che la sonda produrrà della superficie di Caronte, la luna principale di Plutone, potrebbero anche rivelarci se, in passato, siano esistiti o meno sotto la sua crosta oceani di acqua allo stato liquido. A proporre questo metodo d’indagine, basato sull’analisi delle eventuali fratture che verranno rilevate sulla gelida superficie di Caronte, è un lavoro guidato da Alyssa Rhoden del NASA Goddard Space Flight Center a Greenbelt, Maryland e pubblicato sul sito web della rivista Icarus.
“I nostri modelli teorici prevedono la formazione di diversi tipi di fratture sulla superficie di Caronte a seconda dello spessore del suo ghiaccio superficiale, della struttura interna della luna, delle sue risposte alle deformazioni e anche di come la sua orbita si è evoluta fino ad oggi” spiega Rhoden. “Confrontando le future osservazioni di Caronte che ci invierà New Horizons con le differenti previsioni da noi elaborate, potremo vedere quale di esse si adatta meglio e scoprire se Caronte avrebbe potuto avere un oceano sotterraneo nel suo passato, indotto da fenomeni legati ad una elevata eccentricità della sua orbita”.
Lo studio rivela infatti che se Caronte avesse orbitato nel passato attorno a Plutone con una traiettoria più ellittica rispetto a quella che possiede oggi (pressoché circolare) avrebbe potuto subire fenomeni mareali molto intensi, capaci di produrre attriti interni e fratture sulla sua superficie. Fenomeni simili si riscontrano in altre lune dei pianeti giganti nel Sistema solare, come ad esempio Europa per Giove ed Encelado per Saturno.
“Se l’orbita di Caronte ha attraversato una fase di elevata eccentricità, all’interno della luna può essersi accumulata una quantità di calore da deformazioni mareali sufficiente da mantenere per un certo tempo la presenza di acqua liquida sotto la sua superficie” prosegue Rhoden. I risultati dello studio, basati su modelli teorici che prevedono all’interno di Caronte la presenza di un oceano, suggeriscono infatti che sarebbe bastato un piccolo valore dell’eccentricità dell’orbita della luna ( inferiore all’uno per cento) per produrre comunque fratture superficiali analoghe a quelle che, ad esempio, sono presenti sulla crosta ghiacciata di Europa.
“L’idea delle fratture che fornirebbero informazioni sulla storia geologica del satellite (in particolare l’esistenza nel passato di un oceano d’acqua sotto la superficie) è interessante, anche perché la stessa assenza di queste fratture fornirebbe informazioni sull’evoluzione di Caronte” commenta Maria Teresa Capria, ricercatrice dell’INAF-IAPS di Roma. “Dobbiamo anche ricordare che di oceani sottosuperficiali, probabili o solo ipotizzati, nel Sistema solare ce ne sono vari, a partire da Europa ed Encelado, passando per Ganimede e Tritone, per arrivare allo stesso Plutone, che si ritiene possa ospitare tuttora un tale oceano”.
Per saperne di più:
- l’articolo The interior and orbital evolution of Charon as preserved in its geologic record di Alyssa Rose Rhoden, Wade Henning, Terry A. Hurford, Douglas P. Hamilton pubblicato on line sul sito web della rivista Icarus
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani