“La ricchezza nazionale netta in Italia è distribuita in modo molto disomogeneo, con una concentrazione particolarmente marcata vero l’alto”. Il giudizio espresso dall’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico) non lascia spazio a equivoci: nel nostro Paese, la disuguaglianza tra i ricchi e i poveri si fa sempre più accentuata.
I dati dell’Ocse parlano chiaro: l’1% della nostra popolazione (quella più facoltosa) detiene il 14,3% della ricchezza netta dell’intero Paese, mentre il 40% più povero ne possiede solo il 4,9%. Più specificamente: il 20% degli italiani (i più ricchi) detiene il 61,6% della ricchezza, e il 20% appena al di sotto il 20,9%. Il restante 60% si deve accontentare del 17,4% della ricchezza nazionale, con appena lo 0,4% per il 20% più povero: in pratica, un pugno di briciole.
Ma anche tra i “paperoni”, ci sono delle differenze sono importanti: il 5% del campione più ricco ha, infatti, nella sua disponibilità il 32,1% della ricchezza netta nazionale. Una percentuale imbarazzante.
Ad allargare ulteriormente la disuguaglianza tra ricchi e poveri ci ha poi pensato la crisi: dal 2007 al 2011, infatti, la perdita di reddito dei più facoltosi si è fermata all’1%, mentre quella dei più squattrinati si è attestata al 4%. E a subirne maggiormente le conseguenze sono stati gli under 18 – il cui tasso di povertà, pari al 17%, ha superato di 4 punti percentuale la media Ocse – e i giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni, con un tasso di povertà del 14,7% (+0,9% rispetto la media Ocse). Stanno male, ovviamente, anche i disoccupati, il cui tasso di povertà si attesta al 38,6%, e i lavoratori atipici con il 26,6%, mentre il tasso di povertà dei lavoratori stabili non raggiunge il 5,5%.
Ma nonostante la netta disuguaglianza tra ricchi e poveri faccia profilare una situazione poco rosea, il nostro Paese è quello che vanta la minor quota di famiglie indebitate: solo il 25,2%. Molto peggio di noi stanno le famiglie francesi (il 46,8% delle quali ha contratto un debito), quelle tedesche (47,4%), quelle britanniche (50,3%) e quelle americane (75,2%).