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Ocse: oggi bocciare non serve più

Creato il 29 luglio 2011 da Yellowflate @yellowflate

Ocse: oggi bocciare non serve più   Niente più voti, pagelle e bocciature: non servono a recuperare ritardi sul programma e gravano sui bilanci dell’istruzione pubblica. Con l’ultimo rapporto sull’organizzazione dei principali sistemi educativi nel mondo, l’Ocse punta il dito contro le pratiche della scuola tradizionale che, a partire dalla bocciatura, sono spesso solo un modo di penalizzare ancora di più l’alunno in difficoltà.  Le cifre indicano come il rendimento complessivo delle classi e la percentuale di studenti diplomati peggiorino all’aumentare del numero di “ripetenti”, mentre corsi di recupero personalizzati o altre misure di sostegno migliorano l’efficienza nello studio. È questo il modo di reagire a Londra e Helsiki, luoghi da cui ripartire per una nuova pratica didattica e culturale.

Primi segnali di distacco dalla linea fin qui seguita arrivano dall’Austria che ha annunciato l’abolizione delle bocciatura già dall’anno prossimo, mentre in Francia, prima in Europa per numero di “ripetenti”, si rafforza l’ipotesi di una possibile riforma. Contraria il ministro Gelmini che vede nel monito lanciato dagli esperti il rischio di un eccessivo “buonismo”: “Sono contraria ad una scuola modello ’68 che non distingue chi si impegna e merita dai lavativi, che promuove tutti senza differenze”.

Ma fotografare la scuola in termini di rendimento non basta a capire come va cambiando il clima nelle classi. “Nei paesi in cui un maggior numero di studenti ripete gli anni scolastici – osserva l’Ocse – la performance globale tende ad essere inferiore, e il background sociale ha un impatto maggiore sui risultati di apprendimento”. È l’immagine di una realtà spaccata dalle disuguaglianze, dove i ragazzi in difficoltà non riescono a sopperire al proprio ritardo didattico, con l’effetto di rafforzare fenomeni di emarginazione. I ricercatori mettono sotto accusa anche la pratica del trasferimento in altre strutture scolastiche, sottolineando che il metodo “tende ad essere associato con una segregazione nel sistema scolastico, in cui gli studenti che provengono da contesti avvantaggiati finiscono in scuole con risultati migliori mentre quelli di origini svantaggiate finiscono in scuole peggiori”.

Così mentre si levano le critiche degli esperti, il nodo principale, destinato a segnare il futuro dei sistemi educativi, resta il faticoso passaggio dalla teoria alla pratica. Secondo i dati dell’organizzazione infatti il 13% degli studenti è stato bocciato almeno una volta nel suo percorso di studio – prevalentemente durante elementari (7%) e medie (6%), ridotta la percentuale al liceo (2%). L’Italia nella classifica internazionale si colloca al 22° posto, in virtù del suo 18% di studenti rimandati, poco al di sopra della media Ocse.

Tra le strade prospettate dall’ente economico per mettere all’angolo il vecchio modello di scuola e rilanciare la competitività dei percorsi formativi, c’è una maggiore autonomia da parte dei dirigenti scolastici sulle valutazioni finali, insieme all’incremento dei corsi intensivi pensati per gli studenti in difficoltà. Ma in una stagione di pesante crisi economica, l’elemento forse più stimolante è la riduzione dei conti pubblici. In ballo i budget per l’istruzione. Ogni anno ripetuto costa in media, secondo i dati degli esperti Ocse, tra i 10 e i 15 mila dollari annuali. Cifre che in paesi come la Spagna, il Belgio o l’Olanda arrivano a incidere fino al 10% sui fondi complessivamente stanziati per l’educazione. Oltre ai costi diretti, pesano anche i ritardi nell’ingresso del mondo del lavoro e la relativa diminuzione di manodopera qualificata.

Insomma chiudere la pagina delle promozioni negate e riaprire quella del progresso scolastico fa bene agli studenti, ai bilanci e alla imprese, ma è materia culturalmente e politicamente complessa, sopratutto nei suoi riflessi sul mantenimento del consenso pubblico. La partita è appena agli inizi.

Iacopo Bernardini

 

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