Oddio! I citazionisti...

Creato il 14 giugno 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti

Lo sa perfino Bart

Non so se ve ne siete accorti ma da un po’ di tempo, tre anni abbondanti, proliferano le citazioni. Dove? Soprattutto sui social network, ma anche nella quotidianità non si scherza mica, così come non si scherza durante le chiacchierate tra amici nelle quali se non citi sei uno sfigato. Le citazioni sono cicliche, come le stagioni (quelle di una volta). Ci sono periodi in cui in pole position figurano i filosofi, altri in cui sono gli economisti a farla da padroni, altri ancora “eroi” di una umanità perduta, Enrico Berlinguer, Antonio Gramsci, Nelson Mandela, il “mito” Che, il sempreverde Gandhi, Sandro Pertini e, a seconda dei momenti, pure Ciampi e Scalfaro. Su tutte vincono però ancora (e meno male) le poesie, d’amore o di lotta fa lo stesso, i versi affascinano e poi sono più facili da ricordare di un intero periodo di Wittgenstein o di Roland Barthes. Per anni uno dei più citati è stato Bertrand Russell, poi è arrivato Noam Chomsky ma, nel caso del no-global filosofo-linguista americano, era più che altro un fatto fonetico, era chicchissimo pronunciare il suo nome con la bocca a culo di gallina. Sigmud Freud ha spadroneggiato per anni, con tutti quei suoi simboli fallici, e così anche Jung ha finito per non passarsela male. Il problema è iniziato quando ad essere citati sono stati Paolo Rossi e Roberto Benigni, segno che la nostra civiltà della comunicazione iniziava ad avere bisogno di semplificazioni. C’è stato un tempo in cui nelle redazioni dei giornali (quelli grandi e prestigiosi), veniva conservato, e costantemente aggiornato, il “citazionario”. Enzo Biagi ne ha parlato più di una volta, e lui era uno di quelli che ne approfittava a man bassa. Al contrario di Indro Montanelli che delle citazioni degli altri se ne sbatteva le palle visto che lui citava sempre e solo se stesso. La ragione per la quale esisteva il tomo di cui sopra, era che iniziare un articolo con una citazione dava un tono da intellettuale al giornalista che altrimenti il povero cristo non avrebbe mai avuto, per cui poteva capitare di iniziare a leggere un articolo di cronaca nera e trovarci nelle prime tre righe una bella frase di Cicerone. La differenza, fra quel tempo aureo e oggi, è che una volta alla citazione seguiva un testo che ne definiva il senso, oggi si cita a vanvera. E così, cita oggi e cita domani, soprattutto il web si è riempito di cita, la famosa compagna di Tarzan prima dell’avvento di Jane, la bionda fatalona che ebbe il merito di far scoprire all’Uomo della Giungla una dimensione erotico-sessuale a lui completamente sconosciuta e, soprattutto, senza una eccessiva e inibente peluria. Su Facebook vengono citati praticamente tutti e, fino a quando le frasi sono di Crozza e di Spinoza.it, le vignette di Vauro e di Sergio Staino la cosa ci piace e pure parecchio, per non parlare poi dei momenti di comicità involontaria con la quale molti webomani si propongono senza alcun pudore. Quello che ci irrita un po’, alla fine manco tanto, di tutte queste frasi che appaiono spesso illapidate, è l’ignoranza che c’è alla base di chi le pubblica. Ultimamente hanno riscoperto perfino quell’attrezzo da archeologia letterario-teatrale di Bertolt Brecht che, non si sa come né perché, diventa un profeta quando tutti sanno che di visioni profetiche Brechtha avuto, forse, quella della morte della suocera, mamma di Helene. Credo sia inutile domandare ai citazionisti se hanno letto qualcosa di Brecht o di Chomskyo di Wittgenstein, se “La Vita di Galileo” ha mai fatto parte del loro campionario di letture o se la “Lista delle 10 strategie della manipolazione attraverso i mass-media” sia stata almeno sfiorata o seCausa ed effetto. Lezioni sulla libertà del volere”, abbia mai costituito una fonte indispensabile di informazione. Quello che miseramente resta del pensiero di uomini grandi è una frase estrapolata da un contesto che denota solo una voglia, da sinapsi impoverite, di esemplificare senza approfondire, un bigliettino scolorito dei Baci Perugina in cui, almeno, si parla d’amore e non di politica, altrimenti... È vero, i ritmi di oggi non ci consentono una fermata nella quale pensare un po’ a noi stessi, alla visionarietà delle grandi intuizioni no-global  che ormai datano 1979, quando il default era inimmaginabile, ma ridurre il pensiero in pillole non si può, come non è concepibile un Bignami della Divina Commedia. Poi uno si chiede perché Berlusconi ha governato vent’anni.


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