Re Lucertola
Sono passati quasi quarant’anni da quella tragica serata parigina che strappò per sempre al mondo uno dei talenti più onirici della storia del rock: Jim Morrison, che ha fatto sognare intere generazioni con la sua poetica, il suo rock-blues, ma soprattutto il suo anelito di libertà.
Ma, come ogni mito che si rispetti, la sua immagine è stata lungo “ghettizzata ed incatenata” a falsi stereotipi, che media e business hanno più o meno sapientemente imposto alla storia. Film e libri ci raccontano del leader dei Doors come un “Devil-Man”, che libera il suo genio artistico attraverso l’abuso di droghe. Questa versione “distorta” del “Re Lucertola” viene già espressa nel film di Oliver Stone “The Doors”, che brilla solo per l’interpretazione dell’attore Val Kilmer nei panni di Jim, ma soprattutto la si ritrova nella Bibbia dei morrisoniani, amanti del Jim “drogato”, “Nessuno uscirà vivo di qui”. Ad una data cruciale per il ricordo di un poeta del rock non resta che affidarci a voci che lo abbiano conosciuto di persona, per sgombrare il campo da misticazioni scontate.
Mi ritrovo in una giornata di un caldo umido di Piacenza, città dalle mille risorse, quando mi balza alla vista una mostra fotografica alquanto interessante nella suggestiva cornice di Palazzo Farnese: scatti d’autore dell’amico di Jim Morrison, Frank Lisciandro. Il fotografo italo-americano è stato anche poeta, cineasta, co-produttore del disco postumo “An American Prayer”, nonchè uno degli amici più intimi di Jim Morrison.
Infatti lo stesso ha conosciuto Jim e Ray Manzarek, il tastierista dei Doors, all’UCLA, l’Università del Cinema.
Lo stesso Frank ricorda di aver stretto prima amicizia con lo stesso Ray, in quanto entrambi già sposati.
Dopo la parentesi africana, partito come volontario dei Peace Corps per sfuggire alla “leva vietnamita”, i Doors stavano intanto già al loro secondo album, forti del successo del primo. Così Frank si unisce al gruppo e scatta foto nei loro tour. Inoltre partecipa ad un progetto che i Doors avevano avviato: realizzare un documentario su sè stessi. Nasce il film: “A Feast of Friends”. I legami si stringono, finchè non nasce una duratura amicizia con Jim Morrison, stroncata solo dalla sua morte improvvisa, e che li porta anche a realizzare un film insieme: “Highway (HWY)”.
Osservo con attenzione i pregevoli scatti d’autore, un’addetto del Palazzo Farnese mi informa che il curatore, ossia Frank Lisciandro, starà lì a breve. Lo aspetto finchè non arriva un signore biondino, di chiare origini americane, e capisco che è Lui.
Dopo un iniziale imbarazzo gli parlo e gli faccio delle domande; Frank conversa amorevolmente, parlando anche un’ottimo italiano.
Mi racconta un po’ la sua storia ed il suo rapporto con Jim, che lui definisce veramente libero (“Lui mi lasciava fotografare e io gli lasciavo cantare” dice scherzando…). Inoltre ama definire Jim una persona “genuina ed umile”, non amava il successo, anzi la sua profonda sensibilità lo ha portato ad odiare l’intero “spoil system”. Le foto sono uno spaccato della sua personalità, ma soprattutto i moti rivoluzionari di quegli anni, di cui Jim era portavoce, a partire dalla guerra contro il Vietnam.
Dopo questa piacevole giornata, Frank mi invita a seguirlo il venerdì successivo al locale “trendy” dei piacentini: il “Baciccia”.
Dopo una giornata lavorativa intensa, mi metto alla guida del mio bolide (la mia turbo-bici) ed arrivo al Baciccia. L’atmosfera rievoca ritmi blues, con un gruppo live sardo che coniuga sonorità blues, toccando corde di gospel, il tutto condito solo da chitarra, voce e fisarmonica.
Assisto estasiato al concerto, intravedo Frank Lisciandro, accompagnato dagli organizzatori della kermesse artistica “Dal Mississipi al Po”, giunta alla sua settima edizione. Il “Parla con…Frank” sembra interessare pochi, ma quei pochi, me compreso, hanno potuto veramente comprendere meglio la sua figura di uno spessore umano profondo, che non ha eguali. Tanti gli spunti interessanti ma ne cito uno, sconosciuto ai più, raccontato da Frank: Jim amava molto essere libero da schemi e convenzioni a tal punto che, ci racconta Frank, una volta andarono in giro a far spese. Si fermò in una boutique e comprò degli stivali di pelle, camicia yankee, insomma i simboli americani che Jim combatteva idealmente. Frank non trovò più Jim al negozio, ma trovò i suoi vecchi vestiti. La commessa disse che era scappato con i nuovi vestiti e aveva buttato i vecchi. Era in quel periodo un uomo ricchissimo ma a Lui non importava, bastava vivere in serenità con il suo gruppo e i suoi amici. Nella sua poetica si ritrova molto il simbolo del Serpente, ci racconta Frank, era forse il suo stesso stato d’animo: “cambiava spesso pelle come il serpente, cangevole e sfuggente alla realtà”…
Alla mia domanda “live” su cosa lasciasse in eredità allae nuove generazioni e cosa ancora ci avesse regalato, Frank mi lascia con una interessante risposta: “Non so se avesse ancora composto canzoni e poesie, “(l’unica cosa certa era che voleva fuggire dalla realtà americana”), ma ci ha lasciato un ricco patrimonio di canzoni e poesie ed inoltre ci ha lasciato il concetto autentico di Libertà”.
Frank ci parla, con difficoltà, anche dello shock che improvvisamente ebbe alla notizia della sua morte: “Avevamo io e mia moglie già i biglietti per Parigi, dove Jim viveva, ci eravamo sentiti pochi giorni fa….”
“Incomincia a comprendere che dietro l’idea di un concerto Jim nascondesse l’idea di una sorta di cerimoniale, di rituale. Quando arrivava sul palco, l’energia e l’eccitazione tra il pubblico schizzavano a livelli quasi impensabili”.
(Frank Lisciandro)
Pask
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