(Pubblicato su Kataweb Forumcinema il 20 novembre 2002)
Presentazioni molto sfilacciate, lasche strette di mano, scambi distratti di cortesie, sorrisi miserabili. Gli ombrelli sgocciolano in un angolo come anguille morte. Un caos dimesso mi avvolge e mi confonde. Può il caos essere dimesso? Sì, talvolta è possibile. Almeno, in questa circostanza lo è.
Si dà il caso che mi trovi all’anteprima del nuovo film di Luca Barbareschi. Il nuovo. Il secondo. Potrebbe essere pure il primo, poiché Ardena non l’ha visto nessuno. Scommetto neanche quelli del Ministero dei Beni Culturali che l’hanno finanziato con fondi pubblici. La sala è calda, umida, la gente grassoccia, vagamente compiaciuta e discute di argomenti che non conosce. Siamo nell’attesa di un evento – se così si deve chiamare – che non può che essere modesto, sospinto a braccia da un’organizzazione comunque volonterosa. Nulla contro la Film Commission, anzi, però tutt’intorno c’è un’aria da commedia tirata per i capelli. Penso sia per gente simile che si fanno certi film.
Il Trasformista riprende temi e contenuti de Il Portaborse. Tuttavia, mentre il lavoro di Lucchetti era un attacco lucido – in anticipo sui tempi – all’Italia rampante dei furbi e dei corrotti, questo si limita a registrare il dato di fatto in modo qualunquistico. E Barbareschi non è Moretti. L'ironia è rozza, per nulla immaginifica, le allusioni compiaciute, la satira politica ambigua, ideologicamente nulla.
Barbareschi fa della cattiveria un numero e suppongo che non gli costi nemmeno troppo sforzo. Ha la faccia da capra dei Pirenei, sempre atteggiata a un ghigno che vorrebbe essere cinico. Più che altro un trisma tetanico. Ad ogni modo, il pubblico applaude. Ma il pubblico vede qualunque cosa, non opera distinzioni. Basta partecipare, farsi vedere, sfoggiare al mondo la propria esistenza. La lotta senza classe sembra oggigiorno l’unica degna di essere combattuta. I più furbi, in ogni caso, sanno che il posto migliore si trova vicino all’uscita. Perché - alla fine - tutto ha un limite.
Se questo è cinema, me ne torno ai super 8 della mia infanzia. Quelli con zio Piero che carica la 127.