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"Odio talmente gli uomini che mi farebbe orrore essere come loro"

Creato il 09 dicembre 2010 da Valed @valentinadoati
Piccolo Teatro Strehler"IL MISANTROPO"di Molièreregia di Massimo Castricon Massimo Popolizio, Graziano Piazza, Sergio Leone, Federica Castellini, Ilaria Genatiempo, Laura Pasetti, Tommaso Cardarelli, Andrea Gambuzza, Davide Lorenzo Palla, Miro Landonivisto l'8 dicembre 2010 
Promossi al primo incontro: Massimo Castri e Massimo Popolizio superano bene il primo approccio a Molière (curioso pensare che entrambi nella loro feconda carriera non avevano ancora affrontato il Classico francese).Lo spazio che Castri sceglie per ambientare la commedia (tragedia?) è di elegante rigore geometrico, scandito dalla ripetizione di specchi simbolici appesi a freddissime pareti grigie. E' il teatro su cui agisce un personaggio a cui Popolizio dà il calore umano della passione, dell'invettiva, della disperazione. La sua interpretazione è uno degli elementi più forti di questo spettacolo. Quando l'attore dà sangue a un personaggio il risultato è di grande forza e non c'è scampo per lo spettatore: deve stare incollato di fronte alla scena, costretto a riflettere, a interrogarsi, ad analizzare. Bisogna dire che risalta luminosissimo il potere eterno di questo testo sempre così attuale, sempre così ricco di spunti su cui avviare una profonda inchiesta della  società (della nostra come di quella di ieri, così come di quella di domani). Il misantropo non è banalmente colui che odia gli uomini. Alceste è un personaggio molto più complesso: il suo atteggiamento nei confronti del mondo e degli uomini è quello di una estrema franchezza, una sincerità che lo porta a dire sempre la verità - anche quando questa risulta spiacevole. La diplomazia rappresenta il compromesso che non vuole accettare, il prezzo che non vuole pagare per sentirsi integrato in una società governata dall'opportunismo che lui invece rifiuta. Non difende il diritto di dire quello che pensa senza freni; invoca l'altezza morale dell'onestà nei rapporti con gli altri. La sua razionalità nel seguire in maniera integerrima i propri principi viene sopraffatta dal sentimento che prova per Celimène, l'incarnazione di tutto ciò che lui odia della società: frivola, mondana, ambigua, Celimène gioca con tutti e non prende impegno con nessuno, in questo futile gioco della seduzione in cui lei esercita il potere derivante dal suo fascino. Nel destino del misantropo è scritta la solitudine, scelta come unica alternativa per continuare a essere un galantuomo ed evitare di scendere a compromessi con le finzioni della società, con i "falsi pudori" e le "tristi miserie" degli uomini.La regia di Castri esalta la Parola, vera protagonista di questo testo. Ci ha sorpresi incontrare un Castri ordinato, misurato, attento al significato profondo del testo e non alle sue declinazioni esteriori. Non rinuncia per questo a dare la sua interpretazione attraverso la scenografia quasi chirurgica, sottolineando più che l'odio verso gli uomini la difesa estrema della franchezza e della trasparenza nei rapporti di amicizia e d'amore. Di significato anche la modifica al testo del finale: se in Molière l'ultima parola era dell'amico Filinte, Castri fa calare il sipario sull'ultima parola pronunciata da Alceste, "galantuomo".Lo spettacolo fa emergere tutti gli spunti di riflessione presenti nel testo, indagandoli in maniera forse un po' troppo didattica. Il pericolo di cadere nel didascalismo è comunque evitato grazie, ripetiamo, all'interpretazione viscerale di Popolizio. Il resto della compagnia è discreto ma nemmeno lontanamente avvicinabile al livello del protagonista. Si distingue Graziano Piazza nel ruolo di Filinte, l'unico amico sincero di Alceste. Mostra, invece, i propri limiti l'interpretazione di Federica Castellini nel ruolo di Celimène. Paga sicuramente l'affiancamento a un mostro come Popolizio, paga (forse) la giovane età (Celimène è tutt'altro che personaggio semplice, ricco com'è di colori, sfumature, evoluzioni). Più di tutto, però, forse manca quella materia umana personale a cui attingere per interpretare in maniera non banale personaggi di tale ricchezza. Del resto, però, è un quesito che non ha ancora trovato soluzione: per interpretare un grande personaggio bisogna essere una grande persona? Io credo che questo sia necessario per dare a questi personaggi il valore che possiedono per come sono stati concepiti dell'autore. Potreste dirmi cosa ne pensate voi in proposito...
In scena fino a domenica 12 dicembre....se riuscite andate a vederlo!!! 

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