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Odissea: Le peripezie di un gruppo di turisti nell’isola cantata da Omero.

Da Andrea Venturotti

Terza parte

La musica disturba anche le mie amiche dormienti e decidiamo di andare tutte al chiosco, per scoprire qualcosa di quelle canzoni che ormai invadono la spiaggia, e per bere un necessario american coffee (come mai in tutto il nostro soggiorno a Corfù ci sia stato offerto solo american coffee e mai un caffè italiano, o greco, o turco, rimane uno dei misteri irrisolti di quella nostra vacanza).
Io, per raggiungere il chiosco, vorrei passare attraverso la famosa porta, entrare nel suo mondo surreale e inconcludente, ma temo di combinare un pasticcio, di farla cadere e romperla. Sono preoccupata per lei: resisterà ai venti settembrini? Alle tempeste invernali? Le giro intorno e mi ritrovo il nostro piccolo greco che mi porge soddisfatto la custodia di una musicassetta. Ecco da dove vengono quelle canzoni! Sanremo 1962. Una delle edizioni più tristi e inutili del nostro festival nazionale. Solo gli dei dell’Olimpo sanno come mai quella cassetta sia arrivata a Corfù, e dove l’abbia reperita il nostro piccolo amico che pensa di farci cosa molto gradita nel farcela ascoltare. Dovete sapere che quella edizione del festival fu vinta da Domenico Modugno e Claudio Villa con una canzone che nessuno ha mai più ascoltato in Italia. Addio addio era stata composta, mi dispiace dirlo, dallo stesso Modugno. Uno dei suoi brani meno ispirati. Il resto della selezione è in linea con la vincitrice, tutti pezzi che se non fossero stati mai scritti non ci sarebbe stato danno alcuno alla musica leggera italiana. L’unico vero successo di quel festival è stato un ritornello che ha fatto il giro del mondo: Quando quando quando, ma vi posso assicurare che dopo averlo ascoltato un milione di volte in quel pomeriggio greco, nessuno di noi riusciva più ad apprezzarne le qualità.
Per sottrarmi alla musica che il nostro amico del chiosco continua ostinatamente a riproporci mi incammino sulla riva. La spiaggia, lontano dal nostro piccolo accampamento, è straordinariamente tranquilla. Mi allontano sempre di più distratta dalla piacevole sensazione delle onde che mi bagnano le gambe. Raggiungo un pontile con poche barche in legno a dondolare nell’acqua limpidissima. Un cartello annuncia:

SI AFTANO BARCHE ZENZA MARINAIO

Odissea: Le peripezie di un gruppo di turisti nell’isola cantata da Omero.

Una notizia che mi lascerebbe indifferente (non ho intenzione di aftare barche, per oggi) ma che mi riporta alla dura realtà delle cose: le ore passano, si avvicina il tramonto e noi, se i nostri valorosi uomini non riescono ad aftare una casa, rimarremo zenza un posto dove passare la notte.
«Cosa cazzo stai facendo?» Ecco il mio sospettoso ancora marito che mi raggiunge.
«Cammino». Ma la mia laconica risposta non lo soddisfa. Forse teme che io abbia aftato una barca con marinaio e chissà cos’altro. Ma ci sono argomenti più importanti di cui parlare.
«Avete trovato una casa?» gli chiedo con ansia.
«Sì, ma questa giornata mi ha distrutto». Non ne avevo dubbi. Già mi immagino che lo sforzo per la ricerca dell’alloggio diventerà alibi per una totale mancanza di collaborazione nei giorni e nelle settimane a seguire. C’è da dire che il nostro piccolo gruppo di amici maschi è composto da due distinte categorie: quella degli ancora mariti collaborativi e super attivi, e quella degli ancora mariti non collaborativi di cui il mio ancora marito è leader incontrastato, a prescindere da eventuali ricerche di case. A questo punto non mi rimane che sperare che i maschietti collaborativi includano anche me e le mie esigenze nella loro super attività.
Impazienti di raggiungere i nostri alloggi recuperiamo le nostre cose sparse per la spiaggia, salutiamo il piccolo amico greco e la sua porta e ci stipiamo nelle macchine.
Ora, dovete sapere che l’isola di Corfù, a parte la villa occupata dai greci sovrappeso, la residenza della principessa Sissi e alcuni hotel di lusso, non era provvista di alcuna altra sistemazione che ci contenesse tutti. Per cui ci dobbiamo accontentare di un certo numero di studios. Il tipico studio è una monocamera con angolo cottura, che può contenere una coppia, al massimo una coppia con un bambino e che ha una porta d’ingresso che dà su un cortile dove si aprono gli altri studios e, dal lato opposto, un balcone che affaccia, nella migliore delle ipotesi (vale a dire NON nel nostro caso) su un panorama marino.
I nostri studios si trovano lungo una strada polverosa che raggiunge varie località della costa. I proprietari sono una coppia male assortita. Lui è un uomo brusco, truce e infastidito dalla vita. Una via di mezzo tra un orco e un Polifemo con due occhi. Cammina a stento con l’aiuto delle stampelle, e passa tutto il giorno seduto su una sdraio istallata sotto un ombrellone, in un angolo del cortile. Delega tutte le faccende alla moglie, una donna bionda e sciupata, forse un tempo, presumo prima di conoscere l’orco e di finire in quel luogo sperduto e desolato, anche bella. Potrebbe essere slava o polacca o di qualunque paese del mondo dove nascono donne sfortunate.
Gli operatori turistici, prima di accomiatarsi definitivamente con un sospiro di sollievo, ci incoraggiano dicendo che gli studios sono stati costruiti di recente, pulitissimi e ben attrezzati. La donna ce li mostra a gesti. È silenziosa e parla poco in qualsiasi lingua, ma di certo non conosce nemmeno una parola di italiano. Le sta attaccata alla vestaglietta a fiori che le cade di dosso una bambina bionda anche lei, diffidente e piagnucolosa, con cui nemmeno la mia socievolissima figlia riuscirà a fare amicizia.
L’orco, la donna sciupata, il cortile polveroso e la prossimità con la strada poco trafficata mi ricordano uno di quei film americani ambientati in Texas o in Arizona, dove avvengono delitti terrificanti e violenze inimmaginabili e tutta la storia gira intorno a un piccolo motel sperso nel nulla dove i peggiori criminali e serial killer d’America si fermano a fare il pieno e bere una Coca Cola. La vera differenza è che il nostro piccolo residence (anche se ci vuole una buona dose di ottimismo a chiamarlo così) non è dotato né di pompa di benzina né di distributore di bibite, né di nessun altro elemento che possa costituire una benché minima comodità per gli ospiti. Per acquistare qualsiasi cosa, per telefonare, comprare sigarette, acquistare un gelato, sentirsi sia pur minimamente parte di una società occidentale opulenta e consumistica, bisogna prendere la macchina e raggiungere il paese più vicino, che dista comunque una decina di chilometri.
Gli studios, in compenso, sono veramente nuovi di zecca, il che ci sembra un fatto molto positivo, al momento. (Posso dire a nostra discolpa che siamo tutti ancora molto giovani e inconsapevoli di come le cose possano essere diverse da come appaiano). Le stanze sono pulite e accoglienti e provviste di un balconcino in muratura dove poter prendere il fresco, la sera, a patto di non soffrire di qualche forma latente di depressione che potrebbe esplodere a causa della veduta: una campagna abbandonata, punteggiata da pochi olivi esausti e abitata da un gruppetto di asinelli grigi che ogni volta che mi affaccio mi guardano stupefatti. Ma a parte questi particolari, che in quella sera d’agosto sembrano secondari, finalmente abbiamo degli armadi dove riporre le nostre cose, dei letti e delle docce. La vacanza può avere ufficialmente inizio.
Penso, ignara e ottimista, che il peggio sia passato.
Continua…

Lady Madonna


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