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Odissea: Seconda parte

Da Andrea Venturotti

Le peripezie di un gruppo di turisti nell’isola cantata da Omero.

Seconda parte

Gli operatori turistici che ci hanno messo in questo mare di guai sono una coppia. Due giovani sposi pieni di buone intenzioni e di voglia di lavorare. Mi dispiace non ricordarmene i nomi. Ma quello che è certo che a questo punto sono in crisi profonda. Chissà, forse in seguito a quella estate sarà andato in crisi anche il loro matrimonio. Non ne ho notizia, ma devo ammettere che mi piace immaginarlo. Nutro nei loro riguardi, in quella mattina di agosto, un livore carico di disprezzo. Per loro, per i greci sovrappeso usurpatori della villa (che assimilo, nella mia mente suggestionata da approssimativi studi classici, ai Proci), per l’isola di Corfù in particolare e per l’universo creato in generale. Questo stato d’animo è condiviso un po’ da tutti, e cominciano così le prime schermaglie, le prime discussioni a denti stretti: «Ti avevo detto io che questa vacanza era una stronzata!» dice un marito a una moglie. «Ecco cosa succede ad andare in giro con questi idioti dei tuoi amici!» dice una moglie a un marito. Si creano anche delle piccole, agguerrite fazioni tra chi sostiene che tutta la colpa sia dei greci sovrappeso e del proprietario della villa, e chi afferma che la responsabilità sia tutta dell’amico intraprendente che ha fatto le prenotazioni, adducendo a prove inconfutabili altre antiche vacanze riuscite male e organizzate dallo stesso. Alcuni arrivano a dire che il povero ragazzo, ormai soverchiato dai sensi di colpa, semplicemente porta sfiga.
Corriamo il rischio di andare avanti così, fino a sera, senza risolvere il nostro vitale problema di accaparrarci un letto per dormire. E allora gli operatori turistici, che cercano di mantenere una qualche compostezza professionale, capiscono che l’unica cosa da fare è dividerci. Dividere i mariti dalle mogli e i capigruppo delle fazioni rivali. Ci propongono di raggiungere una spiaggia dove i bambini scalmanati possano fare il bagno e gli adolescenti annoiarsi in santa pace, mentre loro andranno alla ricerca di case, col mio ancora marito e gli ancora mariti delle mie amiche, perché c’è da dire che poco tempo dopo quella famigerata vacanza molti matrimoni entrarono in crisi come spero sia accaduto anche per la coppia di operatori turistici alla quale ci eravamo incautamente affidati.
A me sembra una soluzione intelligente quella di dividerci. Non posso sopportare neanche un minuto di più l’aria da martire che il mio ancora marito ha preso, quel sofferente atteggiamento di cupo malessere che mette su quando le cose non vanno (e se le cose non vanno nella nostra vita in particolare e nel mondo in generale, la colpa è decisamente ed esclusivamente mia). E poi voglio assaggiare questo “greco mar” di cui si è tanto parlato.
E così gli operatori turistici ci lasciano su una bella spiaggia, dove, assicurano, troveremo tutto quello di cui abbiamo bisogno, per cominciare la disperata ricerca di un tetto, con i nostri uomini che abbandonano momentaneamente le schermaglie, per mostrarsi pronti a questa prova di grande eroismo, manco stessero partendo alla conquista di Troia. Ed ecco che, dopo anni di animate battaglie femministe, si ripropone per qualche ora la classica definizione dei ruoli: gli uomini coraggiosi in giro per il mondo e le donne pazienti ad aspettare. Io accetto di buon grado questo ritorno al passato, visto che aspettando aspettando mi farò il bagno, e visto che la prospettiva di affrontare le strade tutte curve dell’isola in compagnia del mio colpevolizzante ancora marito non mi attira affatto.
La spiaggia è una qualunque tranquilla spiaggia greca poco affollata, malgrado sia agosto. Dopo il nostro arrivo, però, si trasforma in un piccolo accampamento di nomadi. Tutti i nostri bagagli sono depositati in un angolo, a formare una simpatica e disordinata collina e noi ci appropriamo di ogni metro quadro di sabbia con borse, zaini, vestiti bagnati di sudore messi ad asciugare, creme solari, secchielli, braccioli, parei e tutto quello che può creare ulteriore confusione. Ma i greci, questi della spiaggia sì, si dimostrano davvero ospitali. Siamo accolti calorosamente dal piccolo uomo cotto di sole che gestisce il chiosco che presidia la spiaggia. Questo è il concetto di spiaggia attrezzata che vige sull’isola in quell’inizio di anni novanta. Che ci sia qualche bibita (tiepida) da servire, qualche ombrellone da piantare nella sabbia e basta. Noi ci aggrappiamo a questi flebili brandelli di confort che ci sembrano straordinari. Ci piace il mare, ci piace il chiosco, ci piace soprattutto la “porta”. La porta in questione non è una porta qualunque. Potrebbe sembrare una semplice porta a vetri, con una maniglia e due ante, una porta con intelaiatura in legno grezzo, chiaro, una porta qualunque direte voi. Ma quella “porta” ha l’affascinate caratteristica di non avere intorno a sé alcun muro, è sola, lì, tra il chiosco e la spiaggia, appoggiata su un impiantito di legno e sorretta da un fragile sistema di assi che la tengono in piedi. Sembra uscita da un quadro di Magritte, o da un film di Federico Fellini, splendidamente inutile e misteriosa. Purtroppo il piccolo uomo del chiosco non capisce una parola di italiano, per cui io non posso chiedergli spiegazioni su quella fantasiosa costruzione. Immagino che sia il primo passo di un progetto ambizioso che lui coltiva da un pezzo, una sorta di “prima pietra” trasformata in “prima porta”, e che sia lì come preludio della sua scalata al successo: ampliare il chiosco, trasformarlo in un lido attrezzato, dove servire specialità greche e dove creare benessere per la famiglia, figli e nipoti compresi. Ma ai suoi sogni di affermazione era mancato fino a quel momento qualcosa. E ben presto, in quella calda giornata d’agosto, il piccolo uomo capisce cosa: gli eravamo mancati noi. Coi nostri bambini assetati e desiderosi di gelato, coi nostri adolescenti bibita-dipendententi, con le nostre necessità inderogabili di pedalò, canoe, ombrelloni, lettini e sdraini di ogni tipo. Il nostro uomo intravede la porta solitaria trasformarsi in un elegante passaggio da un lido in muratura a una spiaggia attrezzata. Telefona alla moglie, che corra subito con tutto quello che trova in casa, perché intuisce con la sua ellenica astuzia che la nostra sete tra poco si trasformerà in fame. La donna arriva, con tanto di pollame, patate fritte, pane, formaggi e pomodori. Si improvvisa ristoratrice e ci fornisce tutto quello che i nostri stomaci vivaci possono contenere. Dopo la notte di viaggio, la delusione della villa perduta e le ore di mare anche i bambini più inappetenti hanno una fame da lupo. Mia figlia, che pure in circostanze meno estreme gode di un formidabile appetito, spazzola tutto quello che le capita sotto mano e diventa la beniamina del nostro piccolo greco e di sua moglie.
È primo pomeriggio e fa caldo. Il cibo e la stanchezza ci conducono tutti sotto gli ombrelloni per un sacrosanto riposino. Mentre gli occhi si chiudono lascio che i miei pensieri vaghino in lungo e in largo. Ripenso alla porta misteriosa (che peccato non averla fotografata!), immagino con un soddisfatto cinismo il gruppo dei nostri valorosi, sudatissimi uomini in giro per l’isola sotto il sole alla ricerca di case introvabili.
Il sonno mi sta per prendere, quando una musica fastidiosa irrompe sulla spiaggia risvegliandomi bruscamente.

Odissea: Seconda parte

Continua….
Lady Madonna


Archiviato in:LadyMadonna, My life is based on a true story Tagged: amicizia, avventura, corfù, dormire, giovani, grecia, mariti, mogli, odissea, operatori turistici, rischio, sera, vacanza

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