Avrete capito che per me il mare e l’estate sono due mondi incompatibili. Nella mia immaginazione il mare è sinonimo d’inverno e di uggiosi paesaggi, speroni di roccia nera come catrame e vento, così forte da poterti sollevare. Per me il mare è fatto di maree e incontri nella nebbia, in cui le parole non sono necessarie, né gradite. Insomma mi sento più vicino a Dylan Dog e all’altro Dylan da cui lo stesso dog prende il nome (Dylan Thomas) che ai fanatici della tintarella e dei giochi acquatici.
Questo particolare lettore legge sereno, come se si fosse appena sistemato al centro di un ghiacciaio, avvolto dal silenzio (e non dalla miriade di bambini urlanti che giocano a schizzarsi con pistole ad acqua che hanno l’aspetto e il volume di lancia missili dell’esercito), cullato da un vento secco e curioso (e non dal vortice di caldo umido che avvolge tutti gli altri) e dalla storia in cui si stanno incastrando i suoi occhi. Legge e legge, consumando il corposo libro che stringe fra le mani in una sola mattina. Che invidia! Come riuscire a isolarsi con tanta abilità dal mondo?
“Che sia merito del libro?” Mi chiedo mentre cerco con innaturali torsioni del collo di carpire il titolo di quel magico volume. Forse non leggo libri abbastanza spessi o forse dentro quel corpo si nasconde un alieno protetto da una tuta termo resistente, ecco, sì, questa mi è sempre sembrata la spiegazione più soddisfacente. Io intanto in queste vacanze leggerò all’ombra e voi?
Riposatevi e leggete e rileggete e perché no, magari scrivete, ricordando ciò che ci confidava Dylan Thomas: «è dove il mare non scorre, che le acque del cuore spingono le loro maree».