Noi pensiamo a chi cade, a chi è perduto, a chi piange e ha fame, a chi ha freddo, a chi è malato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all’offesa che gli è fatta, e la dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è offeso, e ch’era, in lui, per renderlo felice. L’offesa che cos’è? E’ fatta all’uomo e al mondo. Da chi è fatta? E il sangue che è sparso? La persecuzione? L’oppressione? Chi è caduto anche si alza. Offeso, oppresso, anche prende su le catene dai suoi piedi e si arma di esse: è perché vuol liberarsi, non per vendicarsi.
INDOVINA L’ INDOVINELLO:
CHI HA SCRITTO QUESTO?
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MARZO
Il sole scalda da sudare sette camicie
e intontito s’agita il burrone.
Come quello d’una gagliarda mandriana
alla primavera ferve il lavoro fra le mani.
Langue la neve, consunta d’anemia,
in ramificazioni di estenuate vene azzurrine.
Ma fumiga la vita nella stalla delle vacche
e sprizzano salute i denti dei forconi.
Oh, queste notti, questi giorni e le notti!
Tamburellare del gocciolio a metà del giorno,
deperire dei ghiacciuoli del tetto,
chiacchierio dei rigagnoli insonni!
Tutto è spalancato, la rimessa e la stalla.
I colombi nella neve beccano l’avena,
e, d’ogni cosa vivificatore e imputabile,
odora di fresca aria il letame.
-Jurij Zivago-
uguaglianza.
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