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Officina letteraria #7 e Olive Kitteridge

Da Martatraverso
Officina letteraria #7 e Olive Kitteridge [Esercizio: prendere un personaggio che amiamo e scrivere usando la sua voce. Io ho scelto lei]
Alcuni mesi fa hanno aperto un nuovo supermercato. Si percorre in pochi minuti, in paese non esistono spazi grandi abbastanza per contenere un centro commerciale, né aree vergini da inondare di cemento per costruirne uno partendo da zero. Per fortuna, pensò Olive Kitteridge. Per tutta la vita aveva fatto la spesa all'emporio di Joe, che tutte le notti partiva alle tre con il suo furgoncino e andava fino a Boston a prendere frutta e verdura di stagione, in tempo per tornare e aprire puntuale alle otto. Olive Kitteridge passava da lui tutti i martedì e comprava un sacchetto di caramelle, una per ciascuno dei suoi allievi.
Olive Kitteridge fu molto triste quando Joe andò in pensione e nessuno rilevò l'emporio. Lo disse anche a suo figlio, in una delle rare telefonate da New York: “Mamma devi essere al passo con i tempi, nessuno compra più negli empori ormai. Posti come quello si trovano solo vicino alle stazioni dei treni o in qualche strada in mezzo al deserto, dove non c'è un'anima per chilometri. Noi facciamo la spesa al centro commerciale tutti i sabati e ci troviamo benissimo”.
Suo figlio non era più lo stesso, da quando aveva sposato quella donna. Olive Kitteridge pensò che forse quella donna non sapeva nemmeno scriverla, la parola emporio. Lo disse a Henry, che come ogni giorno la fissava nella sua immobilità: se avesse potuto parlare, le avrebbe detto che era ingiusta e che Christopher aveva tutto il diritto di fare la spesa come meglio credeva. “Lo so - disse Olive Kitteridge al marito. - Però non posso farci nulla se i centri commerciali sono brutti”.

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