Quando si viaggia è consigliabile partire con un bagaglio leggero, possibilmente con qualche spazio vuoto all'interno, perché capita spesso che tra una pausa-shopping e l'immancabile furto in albergo la valigia del ritorno risulti più piena e più pesante di quella dell'andata.
Con i compagni di viaggio è un po' la stessa cosa: meglio partire leggeri, perché durante il tragitto non si sa mai cosa può accadere.
Prima di partire non ero sicura di fare questo viaggio: l'ho deciso una domenica mattina, mentre aspettavo di salire su un treno. Mai metafora fu più azzeccata. Sono partita con un bagaglio leggerissimo, che durante il cammino si è riempito di frammenti di umanità, frammenti di parole, frammenti di storie. A ogni tappa del viaggio la mia penna, i miei occhi, le mie orecchie e la mia voce aggiungevano qualcosa al mio bagaglio. Ho continuato così, tappa dopo tappa, a trascinare la mia valigia sempre più piena.
Finché a un certo punto mi si è avvicinata una donna: bionda, sui trent'anni, lineamenti dell'Est. Mi ha guardato i capelli e in un italiano sgrammaticato mi ha detto che per venti euro me li poteva tagliare. Stavo per risponderle che ho già il mio parrucchiere di fiducia, ma di colpo mi è andata via la voce. E ora siamo qui, a camminare una accanto all'altra sotto la pioggia, ma io sono diventata muta. Lei però è paziente. Continua a parlare, aspetta i miei tempi. Il viaggio è ancora lungo, prima o poi le risponderò.
[ispirata a due chiacchiere davanti a una tazza di caffè con Paolo Gerbella]