Uscirà l’11 luglio nelle nostre sale grazie ancora una volta all’impegno di Microcinema Distribuzione, Oggetti Smarriti, il nuovo film di Giorgio Molteni. Accolto con entusiasmo al Giffoni Film Festival 2011, il film è stato apprezzato anche alla presentazione stampa a Roma. Oltre ad un ottimo cast nel quale figurano Roberto Farnesi, Giorgia Wurth, Chiara Gensini e Michelangelo Pulci, il film può contare sull’originale sceneggiatura di Giorgio Fabbri. Oggetti Smarriti è una commedia che devia in una dimensione soprannaturale sorprendendo lo spettatore dall’inizio alla fine.
Giorgio Molteni, raccontaci il processo che ha portato alla realizzazione di questo film.
G.M. E’ stato un percorso molto lungo iniziato diversi anni fa. Questa sceneggiatura mi è capitata quasi per caso, ho voltato l’angolo e mi sono imbattuto in questo spartito. Per realizzare questo film ho messo in campo tutta la mia esperienza e anche un po’ di cuore. Tutto è venuto fuori in modo naturale e fluido. Pensi che la casa è saltata fuori soltanto tre giorni prima dell’inizio delle riprese poiché il film è stato preparato molto velocemente.
Come è avvenuta la commistione tra il genere fantasy e la commedia?
G.M. La commedia è venuta fuori perché c’era qualcosa di buffo nella disavventura di Guido. Noi l’abbiamo stimolata, assecondata e, spingendola in una direzione surreale, l’abbiamo trasformata in qualcosa di diverso: nella storia di un uomo che gioca a fare l’extraterrestre. Ma la nostra commedia è diventata anche commedia sentimentale con un suo lieto fine che è il modo con il quale preferisco concludere un film.
Chiara Gensini: Il passaggio dal reale al fantasy avviene grazie o per colpa della personalità di Guido. Io rappresento la distrazione che per Guido è identificabile con il desiderio. Non volevo che si rivelasse da subito la direzione del film e ho cercato di trovare un equilibrio a livello interpretativo.
Michelangelo Pulci: Il mio è un personaggio del tutto immaginario ma è anche quello che tutti noi vorremmo avere nella vita affinché ci spiegasse le cose. Io interpreto una sorta di Gerry Scotti che spezza il ritmo del film. Avevo paura di annoiare e spero di non averlo fatto.
Giorgia Wurth, come è stato per te il compito di interpretare due personaggi, l’ex moglie del protagonista e l’immaginaria centralinista?
G.W. In realtà c’è qualcosa del secondo personaggio che mi sfugge, ma ad attrarmi verso questa sceneggiatura è stata sia l’idea di un uomo che si smarrisce, precipita in un baratro e poi si risolleva grazie a un percorso interiore, sia l’originalità dell’intero progetto. Mi ritengo fortunatissima a fare questo mestiere, ma anche io devo scendere a compromessi e così mi muovo tra la tv ed il cinema indipendente. Sono un’attrice che cerca di conservare la sua etica e se non facessi qualche film di cassetta, non potrei per esempio dedicarmi al teatro. Meno male che esistono film come questo. Secondo me in Italia il cinema è praticamente morto salvo i film di Salvatores, Tornatore o Verdone, non c’è posto per le nuove generazioni. In Italia, insomma, o sei Tornatore o fai la commedia, e poi chi l’ha detto che i film d’autore sono tutti belli? Io, per esempio, ho fatto anche dei film orrendi.
G.M. La centralinista è una proiezione dell’inconscio delirante di Guido dove lui finisce a causa della sua cattiva condotta, un po’ come accade nei sogni. Questo però non è un sogno ma un delirio ad occhi aperti. Chi lo vuole punire è proprio l’ex-moglie. Poi credo che per un attore sia un’occasione rara interpretare due ruoli.
Roberto Farnesi, come ti sei imbattuto in questo film?
R.F. E’ stato una bella scommessa perché si tratta di una fiaba filosofica come una parte difficile a livello interpretativo. Mi piaceva l’idea degli oggetti smarriti e degli interrogativi fondamentali che il film pone. Perdere gli oggetti è una realtà che appartiene a tutti noi. Non è stato facile interpretare Guido, un personaggio che subisce un’evoluzione e che prova forti emozioni. Il protagonista dovrà fare i conti con la propria coscienza perché è un padre assente. Per me è stato difficile all’inizio capire in che direzione andare per raccontare il delirio di Guido, poi ho scelto la strada dell’angoscia. Inoltre il film è molto attuale poiché affronta, seppur in modo lieve, dei fatti di cronaca. Quante volte capita di leggere di genitori distratti che si perdono i figli o che li lasciano in macchina per ore facendo loro rischiare la vita? Oggetti Smarriti parla anche del nostro presente.
Tu hai un’importante carriera a livello televisivo, come mai questa scelta?
R.F. Innanzitutto conosco Giorgio da anni e fra noi c’è stima reciproca e poi in realtà io ho cominciato con il cinema nel 1988 e ogni volta che torno su un set sono molto contento. Purtroppo in Italia è difficile perché c’è un certo snobismo nei confronti degli attori televisivi nonostante attori come Giancarlo Giannini abbiano clamorosamente smentito questo pregiudizio. In America le star passano continuamente da una forma all’altra – prendete George Clooney o Tim Roth – da noi non capita perché l’attore televisivo è considerato minore, anche se ultimamente le cose stanno un pò cambiando.
Quanto credete nelle potenzialità del cinema indipendente in contrapposizione alle produzioni delle grandi major?
G.M. Il mio film è stato concepito da due anni ma esce nelle sale solo ora, forse era nato prematuro! Oggetti Smarriti non è soltanto un film indipendente dal punto di vista economico ma anche e soprattutto da quello creativo. Non può essere categorizzato in nessun genere e ho scelto il cast che volevo senza ricevere nessuna pressione dall’esterno. Il cinema indipendente è impegnativo, ma ti costringe a fare qualcosa in cui credi e a usare l’immaginazione per trovare finanziamenti o validi collaboratori. Ho girato il mio primo film su pellicola scaduta, ma ho potuto muovermi nella direzione che preferivo. Io spero che in Italia possa avvenire quello che accadde in America negli anni Settanta quando il New Hollywood risollevò le sorti del cinema americano. Mi auguro che il cinema italiano possa finalmente diventare un’industria perché allo stato dei fatti non lo è.
di Rosa Maiuccaro